serie Costituzione – DOCUMENTO 3 (marzo 1998)

La Costituzione non va stravolta nel riformarla. Ci possono
essere modificazioni della seconda parte capaci di portare a
riduzione dei diritti dei cittadini garantiti dalla prima parte.
Giuseppe Dossetti

FEDERALISMO VERO O FALSO ?

E’ certo in dottrina e ampiamente consolidato, in sede storica, che le Repubbliche federali nascono da un patto, da una convenzione costituzionale, tra Stati di minore dimensione che rinunciano a parte della loro sovranità per meglio tutelare, in una dimensione più ampia, interessi generali condivisi.

Anomala e piena di rischi è la procedura inversa. Il federalismo per divisione successiva al costituirsi di uno Stato unitario è nell’Italia di oggi il frutto ambiguo di un dibattito reticente, strumentale, alimentato demagogicamente attorno alla crisi del centralismo e alla scarsa affermazione delle autonomie. Ci sono ragioni serie se tutto ciò ha potuto accadere.

Il perdurare, nonostante la Costituzione del 1947, di un soffocante centralismo statale e la limitata e tardiva attuazione di forme efficaci di autogoverno locale, hanno logorato tra i cittadini l’idea stessa di uno Stato articolato, autonomistico, ancorato alla conquista storica della sua unità. E’ in questo contesto che Bossi ha fatto leva su una diffusa protesta ed ha inizialmente cavalcato, alla rovescia, l’ipotesi di un federalismo fondato sulla divisione di un sistema inefficiente e assai lontano dal vigente ordinamento costituzionale.

L’inseguimento che molti hanno fatto di questo disegno eversivo, nell’illusione di assorbirlo, ha finito per accreditarlo ancora di più. Non è casuale che la Lega, nella sua ultima edizione, abbia in parte ceduto il suo originario e rozzo brevetto per rilanciare più esplicitamente, sia pure con qualche oscillazione, un progetto irresponsabilmente secessionista. E’ rimasto così in campo un federalismo più falso che vero difficilmente riscattabile con il richiamo confuso ad alcuni precedenti storici.

Carlo Cattaneo pensava certo ad un federalismo di respiro europeo, ma la sue fondate critiche sul "Politecnico", nel 1860, erano rivolte non tanto all’unità quanto al modello centralista-napoleonico che Cavour calava dall’alto sull’Italia delle cento città. E Luigi Sturzo nei primi decenni del ‘900, riprendendo l’insegnamento di Rosmini, ha indubbiamente lottato contro il centralismo risorgimentale propugnando le autonomie come diritto originario delle comunità di autogovernarsi in uno Stato che rafforza le ragioni della sua unità con la partecipazione popolare, non su imposizioni di vertice.

Ma quelle concezioni non ispirano il federalismo autarchico e dissolvitore di oggi. Quei valori sono stati, al contrario, introdotti nella Costituzione con l’art. 5, che ha una portata più incisiva dell’art. 117, proprio per rimuovere l’eredità del centralismo napoleonico e riformare lo Stato sulla base del decentramento e delle autonomie. La Repubblica che "riconosce e promuove" le autonomie, che prescrive un ampio decentramento, richiama obiettivi più impegnativi della ribadita distribuzione di funzioni tra Comuni, Province, Regioni, cui si aggiungono Città metropolitane di incerta definizione.

Il ritardo di vent’anni nell’attuazione delle Regioni e il mancato riordino complessivo delle istituzioni, posto dai costituenti del ‘47 nelle norme transitorie, ha avuto gravi conseguenze. Si è così accentuata la diffidenza dei cittadini verso uno Stato rimasto centralista e inefficiente nella sua pesante burocratizzazione. La stessa realizzazione delle Regioni a statuto ordinario, sollecitata come avvio di una riforma generale delle istituzioni, è poi risultata nei fatti aggiuntiva ai livelli di governo esistenti, spesso addirittura appesantiti da un negativo minicentralismo regionale.

Il problema di oggi è di dare finalmente applicazione coerente all’art. 5 sia con un esteso e non rinviabile ricorso a leggi ordinarie, che ha un utile esempio nella riforma Bassanini, sia uniformando più incisivamente ai principi in esso contenuti anche la seconda parte della Costituzione. E’ questa la verifica che attende i legislatori. Su certi punti occorre avere più coraggio della Commissione Bicamerale. Un passaggio cruciale, oltre a quello di reali modifiche dell’ordinamento fiscale, sarà la dimostrazione o meno della volontà di trasformare il Senato, al di là del progetto elaborato, in una Camera delle autonomie che richiede di superare con un pieno e diretto riconoscimento dei poteri locali il bicameralismo differenziato proposto.

E’ apprezzabile che il presidente D’Alema affermi di essere disponibile e si può convenire che la formula non possa essere quella del Bundesrat, con una elezione indiretta, ma cosa significa il Senato federale ? Che senso ha che il sindaco di Catania, Bianco, minacci a nome di amministratori locali di vario orientamento che se non ci sarà il federalismo nella Costituzione non resterà che bocciarla con il referendum ? Dove porta l’abitudine praticata anche dai popolari, sul Popolo, a definire "domanda federalista" la giusta richiesta di un efficace potenziamento delle autonomie ?

Queste forzature servono solo ad accentuare le spinte al contrattualismo. Non può avere sbocchi costruttivi, in senso accentuatamente autonomistico, una riforma dello Stato che si riduca alla spartizione contrattata delle spoglie del vecchio centralismo tra poteri periferici e di vertice, anche perché è di tutta evidenza la diversità delle richieste di Comuni, grandi e piccoli, Province e Regioni che richiedono invece un generale riordinamento istituzionale.

L’Italia delle autonomie, del decentramento, di una vitale unità nazionale costruita dal basso e difesa nel suo vero significato storico, che è lo Stato democratico sancito dalla Costituzione, è cosa ben diversa dagli slogan di un superficiale federalismo. La tendenza a cavalcare nominalismi federalisti a fini di svuotamento, come con l’adozione del titolo "ordinamento federale della Repubblica" senza trarne conseguenze, è solo un "boomerang". E’ meglio chiamare le cose con il loro nome : la Repubblica delle autonomie non è uno Stato federale costruito sulla divisione. Federalismo e autonomia non sono sinonimi.

Il federalismo di cui si parla con assoluta leggerezza è immaginario e falso. E’ probabile che questo gioco truccato di parole continui. Esso ostacolerà la presa di coscienza necessaria per accompagnare nel Paese il cammino delle riforme. Nell’equivoco è più facile contrastarlo trovando pretesti o alibi in un federalismo che non c’è anche perché nessuna proposta degna di questo nome è stata avanzata. Questa controversia può continuare all’infinito proprio perché è manifestamente strumentale. Sarebbe meglio cambiare rotta e tornare ad usare un linguaggio di verità, di onestà intellettuale, invece di rincorrersi in una demagogia antieducativa.

IL FALSO SCOPO

In un interessante volume, "Capire la Costituzione", Roberto Bin critica l’incredibile ossessione per la costituzionalizzazione di materie che sarebbe assai più ragionevole e utile regolare per via ordinaria. Non si tratta solo di una incomprensione della Costituzione e dei meccanismi in essa previsti, con l’art. 138, per modificarla. C’è un complesso di inferiorità politica, forse anche un calcolo, alla base di questa scelta. Non avendo per anni sviluppato coerenti riforme per le autonomie, il decentramento, si è inventato che ciò era ostacolato più dalla Costituzione che dalla mancanza di volontà politica. Di qui l’alibi verso la protesta nel Paese e l’ossessione di riscrivere la Costituzione per potere avviare le riforme. E’ un classico falso scopo. Non che alcuni punti della Costituzione non dovessero essere modificate. Il rovesciamento della impostazione dell’art. 117 è un esempio. Ma il legislatore ordinario, di fronte a difficoltà riscontrate in questo o quell’articolo poteva e può ricorrere alle procedure dell’art.138 per introdurre, più rapidamente che con la Bicamerale, singoli e puntuali emendamenti. Ne avrebbero certamente guadagnato la chiarezza politica, il doveroso rispetto della Costituzione, la possibilità di comprendere per tempo la necessità di riformare seriamente la legge fondamentale dello Stato. Comprendere la Costituzione, appunto, per cambiarla senza rinvii : il contrario di un falso scopo.

PRO E CONTRO : meglio un di più di autonomie

Il nuovo articolo 57 della Costituzione ripete, senza varianti, l’elenco delle Regioni a Statuto ordinario e la differenziazione, che non si è riusciti a superare, con quelle a Statuto speciale. Per tentare di superare questo limite il Comitato dei 19 della Bicamerale ha inserito nel testo, in Aula, la possibilità di stabilire "forme e condizioni particolari di autonomia" con il ricorso alla legge costituzionale, approvata dalle due Camere, su iniziativa della Regione interessata. La soluzione equivale ad un rinvio anche perché il ricorso alla legge costituzionale è sempre possibile.

Di rilievo, nelle modifiche proposte per questa parte, è la eliminazione di ogni controllo preventivo sugli atti delle Regioni, come dei controlli regionali d’intesa con un commissario di Governo sugli Enti locali, disciplinati in modo limitativo delle autonomie dagli articoli 124 e 125 della vigente Costituzione. E’ questa la via da percorrere con maggiore ampiezza. La trasparenza amministrativa, i controlli rigorosi e non paralizzanti, possono essere assicurati diversamente e in modo efficace anche senza colpire i principi autonomistici.

Una valutazione più attenta richiede la formulazione dell’ art. 58. In esso viene giustamente rovesciata, in senso autonomistico, la precedente impostazione dell’ art. 117. Già la Commissione De Mita-Jotti aveva formulato una simile ipotesi. L’inversione dell’ordine delle competenze privilegia le Regioni che sembrano non avere limiti tranne quello delle funzioni espressamente riservate allo Stato. Si tratta di un apprezzabile orientamento autonomistico e anticentralista. Ma alcune osservazioni sono doverose.

Nella stesura del testo l’elenco delle materie di competenza statale è diventato talmente ampio che riduce la lettura estensiva dei compiti delle Regioni previsti dall’ art. 117 che è stata fatta, precedentemente, con una legge ordinaria del 1977 e con la recente riforma Bassanini. Si deve poi aggiungere che la potestà legislativa regionale è, in non pochi casi, condizionata dal dovere dello Stato di "determinare con legge" la disciplina generale entro cui collocare tali interventi.

L’attuale art. 127 della Costituzione stabilisce che la già esistente potestà legislativa delle Regioni può svolgersi nel rispetto dei "principi fondamentali previsti dalle leggi dello Stato". Nasceva da qui lo strumento delle leggi quadro cui si è fatto scarsissimo ricorso. Il passo avanti è significativo, ma limitato. Esso si restringe ulteriormente quando l’ art. 58 richiama la tutela da parte dello Stato di "imprescindibili interessi nazionali" e ne richiama la potestà legislativa in riferimento ad "altre disposizioni della Costituzione".

E’ evidente che con questa formulazione è il legislatore ordinario, non quello costituzionale, che può in ogni momento intervenire sulla competenza o meno delle Regioni in base ad una propria valutazione dell’interesse nazionale. Diminuisce di molto l’autonomia in questo campo se il Parlamento può attivarsi partendo dal "merito" delle leggi regionali tutte le volte che si configura una diversità di valutazione o un conflitto di interessi. La questione è molto delicata e richiede anche in Aula una adeguata riflessione.

Il comitato dei 19 della Bicamerale ha cercato di semplificare l’elenco delle materie che spettano allo Stato, ma ne è risultata solo una aggregazione prevalentemente formale rispetto alla proposta precedente. E’ apparsa nella nuova stesura una sibillina eccezione, in materia di ordine pubblico e di sicurezza, per la "polizia amministrativa locale" che era meglio collocata nel vigente art. 117. Anche eventuali modifiche al comma dell’art. 58 relativo alla libera circolazione meritano attenzione, trattandosi di un diritto fondamentale.

L’osservazione vale anche per la parte dell’ art. 58 riguardante la sostituzione di organi inadempienti di Comuni, Province e Regioni, che ha un profilo delicato riguardo alla tutela del principio dell’autonomia locale. Sorge qui un problema di metodo, di lavoro parlamentare. Nelle ultime sedute della Camera è prevalsa la tendenza a respingere, con schieramenti variabili, i vari emendamenti presentati per ripiegare poi su una difesa chiusa dei testi presentati dalla Bicamerale prima del dibattito.

Va ricordato che nessuna proposta è immodificabile. Non solo hanno piena legittimità eventuali proposte alternative, ma è augurabile che su certi aspetti delicati non si escludano correzioni migliorative in Aula come conseguenza della discussione parlamentare. Il suggerimento vale in particolare per l’ art. 58 e per importanti articoli di prossimo esame. Il tema delle autonomie si estende, per connessione, ad altre parti della proposta di riforma.

Si possono ricordare, ad esempio, il problema degli organi comuni di più Regioni o dei loro rapporti con gli Stati, quello della attribuzione a livello regionale del potere di "provvedere direttamente all’attuazione ed esecuzione del diritto comunitario", e quello del previsto intervento della Corte Costituzionale quando "una legge ecceda la competenza di una regione"

Ma decisiva per l’impianto autonomistico del nuovo testo costituzionale è la definizione di una seconda Camera pienamente rappresentativa delle autonomie e ben definita nei suoi compiti. Anche le ultime proposte della Bicamerale a questo proposito, sia nella composizione che nel tentativo di superare il bicameralismo differenziato con il complesso ricorso ad un "Comitato di conciliazione" per talune materie, non sono soddisfacenti e non possono essere migliorate nei dettagli.

I TESTI

articoli 5 e 117 della vigente Costituzione

5 - La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

117 - La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le stesse norme non siano in contrasto con l’ interesse nazionale e con quello di altre regioni ; ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia urbana e locale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria e ospedaliera; istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica, turismo ed industria alberghiera; tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato; altre materie indicate da leggi costituzionali. Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione.

testo finale emendato (corsivo) proposto dalla Bicamerale per l’art. 58

Spetta allo Stato la potestà legislativa in riferimento a :

a) politica estera e rapporti internazionali; immigrazione e condizione giuridica dello straniero;
b) difesa e forze armate;
c) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; disciplina della concorrenza; bilancio e ordinamento tributario e contabile proprio;
d) organi costituzionali ed istituzionali dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statale; elezioni del Parlamento europeo;
e) pesi, misure e determinazione del tempo, coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale;
f) ordine pubblico e sicurezza, ad eccezione della polizia amministrativa locale;
g) cittadinanza; ordinamento civile e penale; ordinamenti giudiziari e ralative giurisdizioni;
h) tutela dei beni culturali e ambientali;
i) determinazione dei livelli delle prestazioni concernenti i diritti sociali che devono comunque essere garantiti in tutto il territorio nazionale;
l) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Province.

Spetta allo Stato determinare con legge la disciplina generale relativa a : tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, università, e professioni; ricerca scientifica e tecnologica; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; grandi reti di trasporto; poste e telecomunicazioni; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.
Spetta inoltre allo Stato la potestà legislativa per la tutela di imprescindibili interessi nazionali e quella ad esso attribuita da altre disposizioni della Costituzione.

Lo Stato e le Regioni disciplinano con leggi, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione ed organizzazione di attività culturali.
Spetta alla Regione la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente attribuita alla potestà legislativa dello Stato.
La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.

Il Governo può sostituirsi ad organi dei Comuni, delle Province e delle Regioni, nel caso che da inadempienze derivi pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica.

La legge approvata dalle due Camere definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di leale collaborazione.

OPINIONI A SOSTEGNO

Da un commento di Carlo Cattaneo, sul Politecnico, alla circolare del ministro Farini sul riordinamento amministrativo (settembre 1860) : ..."i consigli provinciali potrebbero bene adunarsi tutti nel loro centro e in certi tempi dell’anno, e procedere a quegli atti legislativi che potessero emendare i particolari difetti dell’amministrazione locale e provvedere agli altri particolari bisogni, senza che in nulla potessero contrariare o limitare la legislazione nazionale."

Dalla mozione del congresso del PPI al congresso di Venezia del 1921. Nell’approvare la relazione del Segretario Luigi Sturzo, il congresso : "ritiene che a risolvere l’attuale crisi organica dello Stato, e ad assicurare il più forte sviluppo dell’attività nazionale che gli compete in politica interna ed estera, nella legislazione e nella organizzazione della difesa e della giustizia, è necessario procedere alla smobilitazione di quanto nel campo della amministrazione e dell’economia è stato centralizzato con soprastrutture burocratiche statali e semistatali, spesso senza sufficienti controlli e senza possibilità di effettiva responsabilità politica del Governo; e che - pertanto - s’impone non solo la semplificazione dei servizi statali con il decentramento burocratico, ma una vera riforma organica degli enti locali che dia ai Comuni ed alle Province l’autonomia rispondente alle loro funzioni e crei le Regioni come enti elettivi rappresentativi, autonomi, autarchici, amministrativi, deliberativi degli interessi circoscritti al proprio territorio."

Dalla relazione "L’attuazione delle Regioni per rifare lo Stato" di Luigi Granelli al convegno di studio della DC lombarda, concluso da Aldo Moro, nel febbraio 1964. "L’attuazione dell’ordinamento regionale nel nostro Paese, che è cosa diversa dal federalismo, non nasce solo dalla necessità di irrobustire in un ambito territoriale vasto e differenziato quale quello italiano, originarie e legittime autonomie amministrative e funzionali rispetto ad un potere centrale insufficiente e cristallizzato : essa scaturisce anche dall’esigenza, se pur meno avvertita, di completare quell’articolato e complesso edificio costituzionale che è rimasto incompiuto dal dopoguerra ad oggi, nonostante le affermazioni di principio della Costituzione e di cui le Regioni costituiscono parte integrante ed insostituibile. Senza l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario rimane debole, precario, lo stesso ordinamento generale dello Stato che le scelte repubblicana e costituzionale, a differenza del vecchio modello centralistico insufficiente prima e peggiorato poi dal fascismo, hanno voluto espressione di una vasta e articolata comunità nella quale - come ha sostenuto il prof. Benvenuti al Convegno di S. Pellegrino - non esiste solo lo Stato, come più importante ente esponenziale dell’ordinamento repubblicano, ma esistono anche le Regioni, le Province ed i comuni."

POST SCRIPTUM

L’offensiva della destra per ripristinare la formulazione di giugno, poi corretta ad ottobre, dell’art. 56 relativo al principio di sussidiarietà, da noi fortemente criticata, è stata respinta dalla Camera. Essa tendeva a sostituire le funzioni pubbliche, tutelate nella prima parte della Costituzione, con l’attività più adeguata dei privati secondo una impostazione nettamente liberista. Aveva aperto una breccia a questa manovra, strumentalizzata anche da taluni ambienti cattolici come si si trattasse di inserire il principio positivo della sussidiarietà nella Costituzione, un emendamento dell’on. Guarino che con l’affermazione di generici criteri di proporzionalità dell’intervento pubblico lo rendeva, di fatto, facoltativo in contrasto con gli obblighi dell’art. 3 che prevede interventi delle istituzioni a sostegno dei diritti dei cittadini, della parte più debole della società, di servizi essenziali che non possono essere affidati, se non con precise garanzie, alla logica di discrezionalità e di profitto dei privati. Resta, in coerenza con questa impostazione, una vasto campo per intervenire con leggi ordinarie in favore del privato sociale, del volontariato, del settore "non profit" e delle iniziative delle formazioni sociali. A seguito della bocciatura dell’emendamento Guarino, nonostante l’espediente di una votazione per divisione, è rimasto il testo finale della Bicamerale, ambiguo e ripetitivo ma non contrastante con gli articoli 3 e 5, che sarà votato alla conclusione dell’iter parlamentare. E’ un punto attivo nel difficile cammino della revisione della seconda parte della Costituzione. Nel corso del dibattito l’on. Cananzi ha sollevato il problema di una integrazione all’art. 55, giustamente considerata non preclusa dal proponente, ma il Presidente Violante ha suggerito di riproporre la modifica, non si comprende bene con quale procedura, in sede di votazione finale dell’articolo a conclusione dell’iter parlamentare in corso.