MESSAGGI I IN BOTTIGLIA

Questo volume scritto mentre tutto sembrava cambiato, presenta in modo molto chiaro l'ispirazione culturale e politica dell'integerrimo statista. Luigi Granelli ci appare come un cattolico democratico, convinto della validità dell'attuale Costituzione repubblicana; un laico irriducibile e convinto dell'importanza dei partiti, un intellettuale assertore del valore storico dell'esperienza della Democrazia Cristiana.

Dopo la scomparsa dell'autore nel 1999, la sua presenza nel dibattito politico sembra essere scomparsa, eppure è stata molto intensa, la riproposta di questi suoi ultimi scritti serve a riattualizzarla.

Questa storica collana fondata nel 1878, ed oggi pubblicata da Alberto Gaffi Editore, affronta, senza conformismi, sia i temi spinosi dell'attualità che i consueti riesami del passato prossimo e remoto, proponendo nuovi qualificatissimi saggi non solo per addetti ai lavori. Collana realizzata per l'antica istituzione culturale Accademia degli Incolti, a Roma dal 1658.

PREFAZIONE

Il fenomeno Granelli

E' stato consigliere comunale, deputato, senatore, sottosegretario agli esteri con Moro, parlamentare europeo, ministro, e vicepresidente del Senato. Molti ricordano le sue "imprese" politiche: le battaglie per l'apertura a sinistra negli ann '50 e '60, l'affermaazione della laicità dell'impegno dei cattolici nella politica, la concreta solidarietà della sinistra democratico cristiana con la Dc cilena ai tempi della dittatura di Pinochet, le iniziative parlamentari per l'obiezione di coscienza, quelle ministeriali per le comunità degli italiani all'estero, per lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica, la privatizzazione di Mediobanca e della Lane Rossi, l'ostilità dalle partecipazioni statali alla scandalosa operazione Enimont - per la quale lascerà il governo - dopo aver rifiutato di andare alla pubblica istruzione a sostituire Giovanni Galloni. Ha svolto con autorevolezza il suo ruolo istituzionale alla vice presidenza del Senato con Giovanni Spadolini.

Ma oltre a tutto questo Luigi Granelli, settant'anni, da Lovere in provincia di Bergamo, è stato e continua ad essere uno straordinario fenomeno mediatico. La raccolta degli interventi contenuti in questo libro (raccolta parziale, s'intende, anche perchè i volumi dovrebbero essere cinque, dal 1994 al 1999, e soprattutto perchè non esiste impresa editoriale in grado di "reggere" l'opera omnia del personaggio: attività giovanile, scritti su "la Base", "Stato democratico", riviste, giornali di vario indirizzo, agenzie di battaglia, interventi ai congressi, díscorsi parlamentari, conferenze, relazioni in sedi internazionali) mette in primo piano il Granelli "comunicatore" lo ritrae cioè nel ruolo in cui ha attraversato, in campi diversi, tutta la sua vita e quella di tanti amici ai quali, parlando e scrivendo, ha reso chiari e semplici i faticosi e complessi ragionamenti che insieme erano venuti via via costruendo in sedi diverse, dall'Azione cattolica alla sinistra democratico cristiana, dalla Dc al Ppi, nel contradditorio con conservatori, moderati, clericali, intolleranti radicali laicisti ed estremisti di ogni genere.

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Granelli, fin da quando lavorava il ferro, sia pure come operaio specializzato nel paese dove è nato, dispone di circuiti cerebrali di evidente efficienza e rapidità di funzionamento, di una capacità di comunicazione orale al tempo stesso rigorosamente rispettosa della sintassi del periodo, e tuttavia irruente e serrata, senza esitazione delle parole e dei tempi della consecutio (che non sa neanche cos'è perché - beato lui - non ha mai studiato il latino). E' abile poi nella variazione della voce: è uno di quegli oratori che riescono a tenere a lungo l'attenzione delle assemblee e sanno giungere puntuali all'appuntamento tra il livello di emozione del pubblico da cui parte l'applauso e il salire della forza oratoria che riesce a mantenere nitido l'ascolto e lineare il discorso. Propone i propri argomenti con puntigliosa concatenazione logica e secondo un'effettistica retorica ricca di clausole spettacolari . Questa abilità lo assiste anche nella scrittura, rapida, di getto, caratterizzata da periodi ben costruiti nella successione coordinata delle principali e delle subordinate che rende leggibili anche i ragionamenti più complessi. E', insomma, quel che si dice un buon comunicatore. La lunga pratica di assemblee - nei saloni affollati delle sedi di partito, nelle piazze da comizio, nelle aule parlamentare in ambienti internazionali - ha fatto di Granelli il vero e proprio "atleta" della parola, abituato ad esercitare l'oratoria a livello agonistico, un instancabile sponsor delle proprie idee.

Chi scrive è consapevole di aver mischiato nel giudizio sull"amico della vita" obiettività di constatazioni, slanci affettivi e le suggestioni proprie dell'amicizia. Ma alzi la mano chi, avendolo conosciuto, considera eccessivo l'apprezzamento che si desume da questa descrizione del "fenomeno'" oratorio: nessuno risponde all'invito. I critici del personaggio hanno semmai indicato nella capacità di esporre con implacabile coerenza le proprie idee un insidioso valore aggiunto alla validità delle tesi sostenute. Dicono gli avversari, o gli invidiosi che "parla meglio di qualito pensi" oppure che la forma dei suoi scritti è convincente al di là dei suoi argomenti e avanti di questo passo: ma come comunicatore il nostro ha sempre superato tutte le prove e gli esami più malevoli.
Qualcuno fra i critici più ruspanti, alludendo a qualche ostentata amabilità nei confronti di un uditorio al quale invece non lascia scampo prevenendone puntualmente dubbie obiezioni, ha paragonato i discorsi di Granelli alla tecnica d'uso dei vecchiferri da stiro di campagna : un'abbondante e consolatoria spruzzata d'acqua fresca e poi via con una rapida e bollente lisciata intervallata da colpi energici e pesanti sui punti di maggiore resistenza.

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E' stato proprio grazie a questa specialità dell'uomo - un misto di doti naturali, formazione professionale e preparazione culturale - che quando Granelli ha deciso di non presentarsi alle elezioni senza che vi fossero ombre o discussioni sul suo passato, lasciando il Parlamento da vice Presidente del Senato per dare un esempio e favorire il rinnovamento delle rappresentanze istituzionali, non ha smesso neanche per un giorno di fare politica ed ha continuato ad essere presente con interventi quasi quotidiani nel dibattito politico. Ha fondato una Associazione, i "Popolari intransigenti" per non privarsi di una frontiera controcorrente, elaborando documenti sui problemi di attualità e, in particolare, contro le riforme che stravolgono la Costituzione del 1947, in sintonia con gli ammonimenti di Dossetti. Per lanciare idee e polemiche confutare, contestare, argomentare a favore o contro non è indispensabile avere un seggio o un "posto": basta farlo se sono sufficienti volontà e passione. A volte è sufficiente una lettera ad un giornale. E' stato così che mentre la sua generazione si impuntava di fronte al computer, si concedeva ancora al gusto di penne, matite, gomine, fogli, la spinta e la passione "mediatiche" spingevano il Granelli verso la scrittura computerizzata, i format, le tastiere, la stampante, il fax.

Le nuove tecnologie offrivano al vecchio oratore e al maturo pubblicista nuovi mezzi espressivi a disposizione di una irriduciblie volontà di esprimersi e di essere presente in qualche modo ovunque si dibattessero tesi, si avanzassero proposte, si accendessero polemiche. Anche qui ha avuto dalla sua l'esperienza professionale. Giovanissimo è stato redattore capo di un settimanale, il "Campanone" di Bergamo, ha diretto riviste, da "Stato democratico" al "Domani d'Italia" e ha scritto su tutti i giornali della sinistra democratico-cristiana. Dalla frana delle novità telematiche abbattutesi sui vecchi percorsi della comunicazione cartacea filtrava ben presto - in corrispondenza con la scrivania di Granelli - un filo d'acqua che poche ore dopo era già diventato un torrente, un fiume, una cascata di nuovi scritti, interventi, lettere, incoraggiamenti, rimproveri, sarcasmi, consigli indirizzati ad amici, giornali, riviste. La comunicazione ha così continuato ad essere una specie di quarta dimensione del personaggio, un suo proprio e peculiare modo di essere.

Ha voluto che la raccolta degli scritti significativi di questo periodo fosse intitolata "messaggi in bottiglia". La sua convinzione è che in una fase preoccupante di tramonto della politica alcune provocazioni, magari per caso, possano essere raccolte da qualcuno che anche nel futuro sia alla ricerca del pensare politicamente. Il titolo ricorda il repertorio romantico, ma Granelli, che da ministro della ricerca si è occupato attivamente di moderne tecnologie, ha insistito nel ricordare che tra tradizione e innovazione c'è un nesso, che nella scienza, fortunatamente, non c'è l'improvvisazione del "nuovismo": anche i messaggi su Internet, che navigano nello spazio, possono essere raccolti da persone che nemmeno si conoscono.

La diffusione di questa corrispondenza tra Granelli e il mondo e cioè il suo arrivo al pubblico è a volte intralciata da pigrizie, reticenze, calcoli di convenienza e - ammettiamolo con un minimo di autoironico senso dell'umorisino - da obiettive carenze di spazio sui giornali destinatari del fitto lancio di messaggi. Ciò non toglie che la presenza di Granelli nel dibattito politico di questi anni sia stata intensa e - quello che più importa - ne sia risultata molto chiara l'ispirazione culturale e politica: quella di un cattolico democratico, convinto della validità dell'attuale Costituzione repubblicana, sicuro della importanza del ruolo dei partiti, assertore del valore storico dell'esperienza della Democrazia Cristiana, e poi del Partito popolare al suo esordio, coerente nella scelta di campo a sinistra nello schieramento delle forze politiche, testardamente proporzionalista aperto solo a correzioni in senso maggioritario, certo che le alleanze tra i partiti devono fondarsi sui programmi, non su cartelli elettorali, e intransigente nell'opposizione ad accordi motivati esclusivamente da interessi di potere o da astratti pregiudizi ideologici. Attento, come lo è sempre stato in Parlamento e nella collaborazione con Moro alla Farnesina, ai problemi della politica estera e nettamente schierato per la pace, contro ogni guerra, per la collaborazione tra Paesi ricchi e poveri, per il potenziamento dell'Onu e la difesa del diritto internazionale.
Molte di queste posizioni sono escluse dal quadro del "politically correct" che va di moda e che cerca nella illusoria novità delle forme quel rinnovamento che non riesce a realizzare nella sostanza della realtà del Paese. Il politico à la page è oggi bipolarista, fa riferimento al leader di una coalizione e non alla scelta ideale e programmatica che si identifica con un partito, rappresenta nel collegio elettorale il leader più di quanto rappresenti in Parlamento il collegio e i suoi elettori, identifica la storia del Paese nel presente e considera (o addirittura ignora) il passato come una pagina defínitivamente cancellata. Da questo punto di vista Granelli appare, e a volte lo è, emarginato rispetto all'attualità della politica. Questa scelta, d'altra parte, non è di oggi, non è il frutto recente del distacco da compiti o posizioni di responsabilità pubblica. E' il risultato di una coerenza tra parole e comportamenti cercata da sempre: "dire quello che si pensa, fare quello che si dice, essere disposti a pagare per quello che si fa" è stato ed è il suo motto. Il rapporto tra le parole e il comportamento, del resto, serve a misurare la moralità delle persone. Troppo spesso, invece, prevale oggi l'opportunismo. Certo: avere in testa un modello di coerenza non è sempre sufficiente ad evitarci errori di giudizio e di comportamento e spesso rende difficile la costruzione del consenso necessario per far politica in democrazia; può servire tuttavia a chiarire agli elettori le intenzioni dei protagonista della politica e questo non è davvero poco in tempi, come questi, di impopolarità dei partiti e di fuga di tanti elettori dalla responsabilità del voto.

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Nel 1989, festeggiando i sessant'anni di Granelli in una situazione politica che sembra lontana dieci anni luce - e non solo di calendario - da quella che stiamo vivendo, si rifletteva sul fatto che la generazione di quelli che erano ragazzi alla fine della guerra non si era giovata delle due principali spinte storiche e movimentiste che avevano formato o stavano formando la classe dirigente del Paese. Siamo stati troppo giovani per la Resistenza e troppo vecchi per il 68. Granelli fa anche qui eccezione. Sin dal 1942, l'anno del messaggio sulla democrazia di Pio XII, un sacerdote di Lovere informava questi giovanissimi dell'Azione Cattolica su quanto era accaduto prima del fascismo e durante, sulle posizioni della Chiesa e di tanti cattolici che erano stati perseguitati . Anche la violenza fascista fu uno choc. Il vice presidente del suo circolo cattolico ucciso in montagna mentre faceva la staffetta, un altro fucilato, sulla piazza del paese, con altri tredici. I bombardamenti tedeschi sul lago d'Iseo. E poi la Liberazione che lo ha coinvolto in una Brigata Garibaldi, comunista, in funzioni di sorveglianza del deposito dei viveri. Le "fiamme verdi" erano al di là del lago, in valle Camonica, e solo dopo stringe forti rapporti con loro e, tramite Marcora, con i partigiani dell'Alfredo di Dio, dell'Ossola. La Resistenza è stata l'inizio delle sue scelte e della sua formazione. Non a caso, ora, è membro del Comitato antifascista, dell'Istituto di studi per la resistenza, ed è infaticabile nella polemica con molti revisionisti e nel difendere la memoria antifascista di molti protagonisti.

Poi la cosiddetta "carriera" fu costruita tutta attraverso l'esercizio quotidiano della politica, la ricerca - parola dietro parola, gesto dietro gesto - del consenso in elezioni proporzionalistiche, in cui era necessario conquistare quasi individualmente il voto di migliaia di elettori offrendo in garanzia se stessi e non l'avallo di potenti vertici di coalizione. L'unico grande movimento di opinione, l'unica forte ventata di un'emozione collettiva toccata alla generazione è stata negli anni '90 (scandalo delle tangenti e crisi dei partiti) quella che non l'ha sospinta, ma, al contrario, respinta e scompaginata. Anche quelli che, come Granelli, hanno dovuto fare con essa conti esclusivamente politici (e come furono duri nel 1992 quelli dell'ultima elezione al Senato nel collegio di Vimercate !) e non sono mai inciampati in incidenti giudiziari, hanno scontato questa sorte singolare di essere stati "nel vento" una sola volta nella vita quando soffiava, e come soffiava, contrario.

La buona battaglia, comunque, era stata oramai combattuta, la casa politica era stata costruita negli anni senza contare sulla fortuna ma solo sul lavoro e aveva quindi fondamenta solide che hanno ben resistito e da dove si possono mandare in abbondanza messaggi e diffondere tra gente nuova idee antiche che promettono di tornare di attualità. Il camino di quella casa, ci fosse o no la tempesta, ha continuato a fumare, le luci sono rimaste accese e non sono mancate le spine cui collegare computer, stampante e fax.

Auguri Luigi, per i tuoi settantanni.

Mario Mauri

 

POSTFAZIONE

Ringrazio l'associazione Popolari intransigenti che, in occasione del mio settantesimo compleanno, ha curato questa raccolta e Mario Mauri per la sua brillante prefazione. Un affettuoso ringraziamento devo a mio figlio Andrea che mi ha aperto la via, alcuni anni fa, all'uso del computer e di Internet, il che ha voluto dire ampliare smisuratamente le mie possibilità di informazione e di intervento. Analogo il ringraziamento a mia nuora, Rita, che si è occupata della parte grafica. Ed un grazie particolare a mia moglie, Adriana, che oltre ad essere una preziosa correttrice di testi e di bozze, mi è stata sempre vicina con la critica, la discussione, la competenza economica e la straordinaria solidarietà.

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Ed ora qualche riflessione finale. Perché una raccolta di scritti, interventi saggi, nel quinquennio - '94 / '99 - che Gabriele De Rosa ha collocato in una fase di transizione infinita? Desiderio di testimonianza controcorrente ? Vanità, civetteria ? Attaccamento nostalgico ad una esperienza personale ? Forse. Confesso però che ho avuto una ambizione in più. Penso che, in una interminabile transizione, la difesa dei valori della politica, della memoria storica, dell'analisi dei problemi, della cultura propositiva, rispetto alle vuote presunzioni del "nuovismo" alla moda, al pragmatismo senza principi, possa aiutare a guardare oltre una attualità drammatica.

La crisi della politica è di portata generale e supera, nelle sue cause, l'orizzonte italiano. Ne è segno la tendenza, abbastanza diffusa, a ridurre il '900 ad un insieme di tragedie da dimenticare, quasi per seppellire un passato che si ritiene ingombrante da ricordare. Erik J. Hobsbawm, nel suo stimolante libro "Il secolo corto", l'ha infatti concentrato tra 1914 e il 1991 per porre in risalto, nell'insieme, una pesante eredità negativa. Due guerre mondiali disastrose, la follia nazista con Hitler ed i fascismi, Stalin e il tradimento della rivoluzione, la grande crisi degli anni trenta, l'arma nucleare e l'accumularsi di una potenza bellica distruttiva senza precedenti.

E si devono aggiungere, dal Vietnam al Kosovo, le guerre locali, le violazioni dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli, la graduale emarginazione dell'ONU ed il vulnus al diritto internazionale, la ripresa della politica di potenza e dell'uso della forza per dirimere, con una diplomazia ridotta a comparsa, le controversie internazionali. Sembra che, all'attivo, ci sia solo lo straordinario progresso scientifico e tecnologico, che riafferma il primato dell'uomo. All'opposto, c'è chi pensa che sarà il dominio incontrollato della scienza e della tecnologia a caratterizzare il terzo millennio. La macchina dovrebbe sostituirsi all'uomo. E' un rovesciamento inaccettabile. La tecnologia delle invenzioni, dalla ruota alle esplorazioni del cosmo, è stata ed è un mezzo usato dall'uomo per la sua emancipazione, per la valorizzazione del creato, non per renderlo schiavo. E' quindi debole la pretesa di fare del progresso scientifico e tecnologico l'alternativa esistenziale all'uomo nel prossimo secolo e persino la fine della scelta religiosa decretata dalla morte di Dio.

Per molti l'inizio del secolo breve è quasi da cancellare. Così facendo non si tiene conto di importanti conquiste e delle lezioni severe che contengono anche le grandi tragedie. Si pensa di poter entrare nel 2000 senza vincoli o angosce. E' un salto nella modernizzazione indefinita, nella globalizzazione come dominio dei più forti, nella felicità dei consumi e del benessere per chi è in grado di competere, della cultura unica e del pensiero unico. La via del nuovo secolo si apre all'insegna di un "nuovismo planetario" che, grazie al calendario, ha del tutto tagliato le sue radici. Non condivido né la lettura riduttiva del '900 né la teoria della irreversibilità dell'attualismo nuovista. E' da questo orientamento semplicistico e manicheo che è venuta la bizzarra tesi, elaborata qualche anno fa da un intellettuale giapponese americano, sulla presunta fine della storia, in sintonia con chi aveva sentenziato l'assoluto dominio dell'uomo sulle cose e quindi la morte di Dio. Anche da qui ha preso forza la politica come pragmatismo e potere senza finalità. Partendo da quella premessa si può finalmente navigare a vista senza crucci etici.

Niente di più falso. La storia ricomincia sempre. E' accaduto anche dopo guerre devastanti e nonostante la terribile barbarie dell'olocausto. I secoli non sono compartimenti stagni. Anche la fase iniziale del '900 è stata influenzata da avvenimenti dell' '800 e dei secoli precedenti: la rivoluzione francese, il primo costituzionalismo, il suffragio universale e la rottura dell'emarginazione delle grandi masse popolari.

I tempi di Machiavelli sono addirittura evocati oggi per giustificare, con le dottrine del "Principe", la spregiudicatezza di molti uomini di potere contemporanei. Persino le utopie di Campanella, Erasmo, Tommaso Moro hanno influenzato la nascita, nel secolo trascorso, delle grandi ideologie. Nel '900, se mai, l'utopia è diventata ideologia blindata, assolutista, adottata come base di un potere autoritario e causa di disastri nel secolo breve.
Non c'è forse bisogno, anche qui, di andare contro corrente anziché affidarsi, in un clima millenaristico, alle fughe in avanti di una modernizzazione senza anima e di una globalizzazione che tutto vuole omologare ? Tanto l'analisi del passato, quanto le previsioni sul futuro sono carenti e discutibili. Già all'inizio del secolo, nel 1909, Thomas Mann in un racconto, criticato per alcuni riferimenti politici, ha scritto che non c'è storia senza dialettica e scontro e che "non è possibile desiderare la conciliazione universale e pacifica di tutte le distanze, di tutti i conflitti". E il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer, nato nel 1900, antinazista, ancora vivo, critica in una intervista le valutazioni apocalittiche del '900 e, quanto al prossimo secolo, respinge l'idea di "un ordine mondiale simile ad uno Stato formicaio, in cui l'occhio vigile degli apparati controllerà ciò che ogni singolo individuo fa o non fa. E' una scenario per la civiltà umana del tutto improbabile."

Queste riflessive considerazioni sono rilanciate con convinzione da un intellettuale di sinistra, Mario Tronti, nel suo bel libro "La politica al tramonto". La sua penetrante analisi conferma doti già conosciute di questo storico marxista. Egli è aperto al revisionismo, senza tuttavia cambiare campo, vuole il cambiamento pur essendo fermo critico di ogni dilettantesco nuovismo, guarda ai valori e rifiutando l'idiozia della fine della storia attribuisce al tramonto della grande politica la principale ragione della crisi e della transizione alla cieca del nostro tempo. Calzanti e suggestivi sono i suoi riferimenti. Ricordando la crisi del '29 egli critica Marx, e la sua teoria della fine catastrofica del capitalismo, e cita giustamente Keynes che, con il suo programma a sostegno dei laburisti, ha indicato allo Stato una politica che ha salvato l'economia dalla incapacità di sviluppo cui era condannata dal puro automatismo dei mercati. Il male del '900, ricorda con efficacia Tronti, è che "l'economia ha saputo usare la politica, la politica non ha saputo usare l'economia." Lo stesso si può dire del progresso scientifico e tecnologico, dei grandi sconvolgimenti che potevano aprire cammini nuovi e sono serviti solo ad avventurose fughe in avanti.
La storia ricomincia sempre per intima necessità di vita, ma la politica come può rinascere senza impegno volontaristico e senza pensiero? Tronti critica la cultura attualistica laica e di sinistra e, con onestà intellettuale, constata che la Chiesa di Roma è rimasta sola a ricordare con intatta capacità profetica anche gli errori del capitalismo, le ingiustizie e lo sfruttamento del lavoro, la pace contro la guerra, il fondamento etico del diritto internazionale, il protagonismo incomprimibile della persona ed il dovere della solidarietà tra gli uomini di qualsiasi condizione sociale, razza, religione. E' il valore, nella storia, della profezia. La cultura laica sembra aver perso, con il fallimento delle ideologie, anche le visioni di lungo periodo.

E' significativo che Tronti non si fermi, come è proprio della sua formazione laica, alla valutazione storica del ruolo della Chiesa. Egli si apre, significativamente, ad una lettura dell'influenza che lo spirituale, la convinzione religiosa, può avere sullo storico e sul politico. Con un parallelo suggestivo all'influenza che ebbero, in Inghilterra soprattutto, l'etica protestante, il rigore calvinista, sullo sviluppo iniziale del capitalismo, egli vede oggi nello spiritualismo, nella vita religiosa liberata da deformazioni clericali, nel ruolo della Chiesa, antidoti efficaci contro i processi di "reificazione", l'identificazione con un piatto storicismo. "Diffido - ha detto Tronti in una intervista - da un agire soltanto laico e così sto riscoprendo la spiritualità". Ed esalta le aperture di Papa Giovanni XXIII e di altri Pontefici, del Concilio vaticano II, come esempi di un lungimirante rapporto tra Chiesa e modernità non separato, come accade nella cultura attualistica, da valori essenziali e permanenti. Altra coincidenza è il richiamo all'importanza del pensiero politico come base indispensabile di una reale azione politica.

Se la storia ha in sé le ragioni dello sviluppo umano è la grande politica lo strumento della sua trasformazione in progresso. Aldo Moro, nella transizione tra l'ultimo dopoguerra e la rinascita democratica, ha scritto, restando fedele a questo principio per tutta la vita, che "senza pensiero politico non vi è azione politica." Anzi, che "pensare politicamente è già agire politicamente" anche se non ci sono riscontri immediati. Il tramonto della politica è dunque una sconfitta, non una opportunità. Curioso, infine, è che Tronti, nella breve antifona di salmi che premette al suo libro, dopo aver scritto che non "c'è grande politica senza la grandezza del tuo avversario" respinga, per l'oggi, la "paura del criterio politico". L'obiettivo resta la lotta politica contro la guerra, non l'appiattimento sull'esistente, perché è in questa scelta, che è poi quella della ragione contro il puro potere, del diritto rispetto alla violenza, della norma a tutela dei deboli nei confronti dell'uso della forza,della spiritualità come antidoto alle chiusure storiciste, che si può ritrovare la "nobiltà dello spirito umano. Il messaggio dunque c'è -conclude - nella bottiglia di questa allusiva sinfonia di salmi" che è stata posta a premessa di un lodevole sforzo autocritico e controcorrente.

Mario Mauri, nella sua precisa, simpatica, troppo lusinghiera prefazione, sottolinea che, nel quinquennio della raccolta "messaggi in bottiglia", io appaio e, a volte, sono un "emarginato dall'attualità della politica". So che è una mia propensione, una facile tentazione per gli intransigenti. Leggendo Tronti, ed altri, mi sono tuttavia trovato in buona compagnia in una analisi che va nel profondo della crisi in corso. Non vedo Mario Tronti da alcuni anni e la coincidenza in molte cose è singolare e non concordata. Le idee, come si vede, influenzano anche da lontano i rapporti tra le persone. E' questa l'ambizione in più di questa raccolta di "messaggi in bottiglia". Offrire a qualcuno, anche casualmente, uno spunto, può essere una occasione per fare rivivere un desiderio di riflettere, di guardare lontano. Una ambizione, appunto. Con qualche possibilità. Tanto più che l'idea romantica del messaggio in bottiglia, che a qualcuno può capitare di leggere, è, nell'era informatica del 2000, anche un moderno segnale che qualcuno può cogliere navigando su Internet. E qualche esperienza passata può forse anche aiutare, chissà, qualche esponente delle nuove generazioni a meglio capire il presente e a tentare di preparare un futuro meno scontato.

Milano, 10 settembre 1999

Luigi Granelli