Forze Nuove, la "sinistra sociale" della Democrazia Cristiana

La storia della “sinistra sociale” della Democrazia Cristiana inizia con il tramonto del sindacato unitario, quando De Gasperi compie la svolta del ‘47, che consolida con le elezioni del 18 aprile ’48 contro il “fronte popolare”, quando avvia la politica centrista che si fonda sull’alleanza tra il partito dei cattolici ed i partiti laici di tradizione liberale, repubblicana e socialdemocratica. Questa politica ha per De Gasperi, due obiettivi: evitare che l’isolamento della DC (cui il 18 aprile ha assegnato la maggioranza assoluta) la spinga in direzione del partito confessionale (e quindi clerico-conservatore); contrastare con più efficacia la minaccia di una sinistra egemonizzata dal PCI. Non a caso De Gasperi pensava ad “un partito di centro che guarda a sinistra”.

In una fase della storia nazionale ed europea caratterizzata dal Patto di Yalta (che ha assegnato l’Italia all’area di influenza degli Stati uniti) e dalla frattura provocata dalla lotta di liberazione e poi dal referendum istituzionale, i parlamentari delle Acli e della Cisl, che hanno come leader l’on.Giulio Pastore, danno vita, nella DC, al gruppo parlamentare dei sindacalisti, sia alla Camera che al Senato. Quella “tendenza” rappresenta in realtà l’ala operaia di un partito interclassista, ed è pienamente integrata nella strategia degasperiana, anche se risente dell’influenza di Dossetti, incline ad interpretare le questioni che si impongono in quegli anni nella prospettiva della “rivoluzione cristiana”. Il gruppo parlamentare dei sindacalisti sottolinea le radici anti-fasciste della DC ed interpreta la costituzione come un programma di superamento del sistema sociale ed economico capitalista, ma è decisamente anti-comunista. La sinistra sindacale si impegna nelle battaglie per le riforme sociali (ad iniziare dalla riforma agraria), ma sulle questioni che segnano la frontiera del centrismo a sinistra, ed in particolare nel corso delle polemiche che riguardano i rapporti con gli Stati Uniti (Piano Marchall) e poi l’adesione alla Nato, si schiera con De Gasperi. Anche perché la realtà sociale che i sindacalisti “bianchi” rappresentano, è la più esposta agli scontri (anche molto duri) con i social-comunisti, specie nelle grandi fabbriche del Nord.

Dopo il V° Congresso Nazionale (1954), che registra un cambio di generazione alla guida del partito, ed anche l’avvio di un dibattito che si concluderà con l’apertura a sinistra, Fanfani conquista la segreteria della DC ed il baricentro della politica democristiana si sposta dal parlamento al partito. Le diverse tendenze politiche, in precedenza rappresentate dei “notabili”, si organizzano in “correnti”, ed anche il gruppo dei sindacalisti si organizza nella corrente di “Forze sociali”. A questa corrente aderiscono quasi tutti i parlamentari sindacalisti, e nella periferia del partito quasi tutti i quadri della Cisl e delle Acli iscritti alla DC, oltre alcuni gruppi provinciali politicamente e socialmente più avanzati, già “dossettiani”.

Questa esperienza resta legata alla figura di Pastore. Tuttavia la leadership del segretario generale della Cisl si allenta quando Pastore lascia la guida del sindacato ed assume responsabilità di governo, in anni caratterizzati dall’avvio della politica di centro-sinistra, dal dialogo con i socialisti – finalizzato anche alla loro autonomia dal PCI - e dal dibattito sulle riforme di struttura. Questo complesso dibattito fa emergere i limiti, anche parlamentari, del centrismo, ma segna anche mutamenti profondi sulla sinistra, specie dopo l’intervento sovietico in Ungheria. La polemica anti-comunista punta sempre più esplicitamente a favorire l’autonomia dei socialisti; ed il PCI risponde a questa polemica contrastando l’avvio della politica di centro-sinistra.

Tra il 1958 ed il 1963 Forze sociali si apre alla convergenza di alcuni gruppi regionali del Veneto e dell’Emilia Romagna (che fanno riferimento a Gagliardi e Gorrieri) ed all’adesione di molti esponenti del movimento giovanile, insofferenti per il consolidarsi di una maggioranza “moderata” che appare interessata alla gestione del potere più che all’avvenire della democrazia, e che interpreta anche il dialogo con i socialisti in questa prospettiva.. Nasce così “Rinnovamento democratico”, una corrente che ha il suo più visibile ed autorevole punto di riferimento in Carlo Donat Cattin, il quale dopo aver guidato la Cisl torinese negli anni difficilissimi della polemica contro il “sindacato giallo” della Fiat, è eletto parlamentare della DC.. Durante questo contrastato ciclo della politica nazionale, quando nella primavera del ’60 i partiti di sinistra ed i sindacati scendono in piazza contro il governo Tambroni, ha cercato il sostegno parlamentare del Msi per ottenere la fiducia, Pastore (sindacalista) e Sullo (basista) si dimettono da ministri poichè la DC non può dimenticare le sue radici anti fasciste.

Con l’affermarsi della politica di centro-sinistra ma anche con il delinearsi dell’opposizione a questa politica, e dopo il Congresso Nazionale di Firenze (1959) che ha visto le sinistre democristiane, sia quella “sociale” che quella “politica” (della Base, che aveva fatto riferimento a Ezio Vanoni ed aveva il sostegno di Enrico Mattei) schierate a favore di Fanfani, si fanno più fitti i rapporti di Rinnovamento con la Base (ed in particolare con Granelli e Galloni), mentre anche la “questione comunista” assume un diverso significato e si incomincia a discutere del superamento della “conventio ad exludendum”, di “fine del collateralismo” del sindacato nei confronti dei partiti, di ristrutturazione della sinistra. Si può ormai parlare di un “anti comunismo democratico”, di posizioni che rivendicano le radici resistenziali della DC in polemica con chi le dimentica, ma anche con gli estremisti che vorrebbero cancellarle per affermare che la resistenza è “rossa”, che rifiutano lo scivolamento della DC verso un modello di partito conservatore, di una polemica con l’imperialismo sovietico che tuttavia ritiene possibile e necessaria una maturazione democratica di comunisti italiani ed un approdo della sinistra alla prospettiva dell’europeismo e del riformismo, di partiti dell’arco costituzionale.

Nei Congressi nazionali del 1964 (con Moro segretario della DC) e del 1967, le sinistre democristiane si presentano unite, sotto la sigla di Forze Nuove, con l’obiettivo di dare più importanza al dialogo che si sta avviando con Moro, ma anche per contrastare con maggiore efficacia una maggioranza (che punta tutte le sue carte sulla centralità della DC) da cui Moro si sta separando. Le sinistre democristiane pongono con decisione la questione del rinnovamento del partito e della necessaria attenzione ai mutamenti che si stanno delineando in un paese nel quale stanno dilagando la contestazione giovanile ed operaia (1968/ ’69), proprio contro la centralità della DC, “partito stato”.

Durante questo ciclo della vita nazionale, caratterizzato da forti trasformazioni ma anche da una crescente mobilitazione sindacale, è Donat Cattin, come ministro del lavoro, a portare a conclusione l’iter parlamentare dello Statuto dei lavoratori (1969/’70), ed a condividere l’iniziativa di Livio Labor, presidente delle Acli, per una “associazione” (l’Acpol) che permetta ai democristiani di sinistra ed ai socialisti riformisti del PSI, vicini all’on. Lombardi, di riflettere su una forza politica nuova, decisamente riformista ma non comunista, capace di mettere in crisi una società che sta vivendo radicali mutamenti ma che appare politicamente bloccata.. Tuttavia quando, forzando la situazione, in contrasto sia con Donat-Cattin (DC) che con Lombardi (PSI) Labor presenta le liste del Movimento Politico dei Lavoratori (per le elezioni del ’72), la sinistra sociale non lo segue in una avventura che si conclude con il fallimento elettorale del MPL e di tutte le formazioni della sinistra estrema.

In quella stagione politica, condizionata dalla “strategia della tensione”, la vicenda della DC è caratterizzata dal “patto generazionale “ tra Forlani e De Mita, e poi dall’accordo di Palazzo Giustiniani tra Fanfani e Moro, che pone fine al governo Andreotti-Malagodi e riapre il discorso con i socialisti. In quelle circostanze si incrina anche l’intesa politica tra la sinistra sociale e la sinistra politica, che riacquista piena autonomia e si ripresenta nelle assisi congressuali come Base. Restano comunque forti i legami personali e politici tra la maggior parte degli esponenti delle diverse “sinistre democristiane”, ma la sinistra sociale continuerà a riferirsi alla sigla di Forze Nuove, che da quel momento viene sempre più strettamente associata alla leadership di Donal-Cattin. Non a caso, comunque, quando viene eletto segretario della DC, dopo il referendum sul divorzio del ’74 e le elezioni regionali del ’75, Zaccagnini invita a collaborare con la segreteria il basista Giovanni Galloni, il moroteo Corrado Belci e Guido Bodrato, di Forze Nuove.

Gli anni della solidarietà nazionale (caratterizzati dal dialogo tra Moro e Berlinguer) rafforzano i legami tra gli esponenti delle due sinistre ed i morotei, ma fanno emergere punti di contrasto con Donat-Cattin, che pure considerandosi molto vicino a Moro teme la subalternità della DC nei confronti dei comunisti. Quando, dopo l’assassinio di Moro, si indebolisce la strategia della solidarietà nazionale e chi ha sostenuto la segreteria Zaccagnini ritiene necessario dare vita ad un’Area che si rifaccia al segretario, questa decisione – assunta per rendere più forte una alleanza politica - comporta una crisi profonda: una parte della corrente di Forze Nuove segue Bodrato nell’”Area Zac”, Donat Cattin conferma che FN non si scioglie, poichè “se alla DC togli le correnti, non rimane nulla”.

Per quasi dieci anni la sinistra sociale è stata rappresentata nella direzione del partito da Donat-Cattin, da Vittorino Colombo e da Bodrato. Lungo quest’arco di tempo la sinistra sociale ha organizzato ogni anno, all’inizio dell’autunno, i convegni di Saint Vincent, come occasione di dibattiti cui hanno partecipato esponenti di molti partiti di sinistra, socialisti e comunisti. E sulle pagine della rivista “Sette giorni”, diretta da Piero Pratesi e da Ruggero Orfei, si è svolto un approfondito dibattito politico non solo tra le correnti democristiane ma anche con esponenti del partito comunista, su tutti i temi che hanno caratterizzato la vita nazionale, dalla riforma delle istituzioni alla politica economica, dalle questioni del welfare alle questioni internazionali. Anche la sinistra sociale considerava i partiti di sinistra, ed in modo particolare i socialisti, interlocutori necessari ed utili. Il suo è stato un “anti comunismo democratico”, interessato all’evoluzione del partito comunista ed al superamento della sua collocazione internazionale, rispettoso della sua forte rappresentanza popolare.

In sintesi, la differenza tra FN e la Base può essere riportata ad un maggiore interesse della sinistra sociale per le questioni economiche e sociali, e della sinistra politica per le questioni delle alleanze parlamentari, e del funzionamento e della riforma delle istituzioni repubblicane. Queste diversità sono state accentuate dalla contesa per la leadership, specie tra Donat Cattin e De Mita. Anche quando tutta la sinistra democristiana ha riconosciuto il ruolo insostituibile di Moro, come regista della solidarietà nazionale, cioè di una politica che si proponeva di superare la pregiudiziale della “conventio ad exludendum”, di favorire il cammino del PCI verso l’europeismo e l’atlantismo, di avviare l’Italia alla democrazia dell’alternanza, di isolare un estremismo che, intrecciandosi con lo stragismo neo fascista, aveva portato agli anni di piombo.

Si impone una riflessione sulla fase finale della esperienza di Forze Nuove. Dopo aver sostenuto la politica del confronto, che ha caratterizzato le scelte compiute dopo il voto del 20 giugno del ’76,Donat Cattin (che con Bodrato è stato “dimissionato”dalla segreteria politica del partito, da Fanfani, perché non ha condiviso la strategia adottata in occasione del referendum sul divorzio) non aderisce all’Area Zac, poichè teme che con Zaccagnini si avvii una fase di progressivi cedimenti al partito comunista che non ha tagliato i nodi che lo legano al comunismo sovietico. Questo irrigidimento della posizione di Donat Cattin è in parte provocato dall’amara vicenda del figlio Claudio, aderente a Prima linea, ed alla polemica scatenata dal PCI contro Donat Cattin e contro Cossiga. Carlo Donat Cattin considera il figlio vittima dell’onda estremista che ha coinvolto una generazione, indotta a scegliere la via della lotta armata dall’interpretazione della storia derivante dal marxismo-leninismo, dall’anarchismo, dal maoismo, ma soprattutto dall’egemonia comunista e dal cinismo che la caratterizza.

Così, quando – dopo la morte di Moro – si apre il dibattito che si conclude con il XV° congresso della DC (1982), che segna il tramonto della politica di solidarietà nazionale, Donat Cattin e Forze Nuove sono il punto di forza della politica del “preambolo”, che ritiene sbagliato portare avanti il confronto con il PCI. Nella sua evoluzione questa linea si consoliderà in una posizione di netto privilegio del socialismo craxiano, ed in certa misura sarà accettata anche dalle altre tendenze della sinistra democristiana. Quando l’on. Piccoli cederà la segreteria a De Mita, e dopo un lungo braccio di ferro tra Craxi e De Mita -questa linea si consoliderà nella politica del CAF, dalle iniziali di Craxi, Andreotti, Forlani.

La sinistra sociale di Forze Nuove è stata , nella fase politica che prepara il centro sinistra e poi sino agli anni caratterizzati dalla strategia morotea dell’attenzione e della solidarietà nazionale, una tendenza che ha sostenuto le riforme ed il dialogo, restando fedele alle radici anti fasciste della DC considerata “un partito di centro che guarda a sinistra”. Nella fase che si è tragicamente aperta con l’assassinio di Moro, Donat Cattin ha inteso affermarsi come il più coerente erede del pensiero moroteo, ha dato vita ad una rivista intitolata “Terza Fase”, spinto dall’onda polemica è giunto a considerare “cavalli di Troia” della strategia comunista gli amici della sinistra democristiana che continuavano a tenere aperto il confronto con i comunisti. Ed a concentrare tutta l’attenzione su Craxi e sulla sua strategia dell’alternanza ( che tuttavia per realizzarsi non poteva prescindere dall’apporto dei comunisti). Ma il filo del dialogo tra gli esponenti delle sinistre democristiane non si è mai spezzato del tutto, e con gli anni ’90, dopo la caduta del muro di Berlino, le posizioni si sono riavvicinate, come hanno dimostrato gli ultimi convegni di Saint Vincent. In realtà si stava ormai delineando il tramonto della DC, e senza il “partito” che aveva rappresentato l’unità politica dei cattolici, la dialettica tra le diverse sinistre democristiane perdeva di significato. Anche perché con la DC stava tramontando il PCI e stava mutando l’orizzonte della politica italiana ed europea.

Guido Bodrato

Sintesi dialettica per l’identità democratica
1 settembre 2006

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