COSI I NUOVI MEDIA CI STANNO CAMBIANDO

Raffaele Pastore
FONDAZIONE CENSIS
Chi è: Raffaele Pastore, 42 anni, sociologo, dal 1990 è ricercatore al Censis, dove si è occupato di tematiche socioeconomiche e, dal 1995, di comunicazione e media. Dirige il Settore comunicazione del Centro studi. Dal 2001 coordina il «Rapporto annuale Censis/Ucsi sulla comunicazione in Italia», in partnership con Mediaset, Mondadori, Ordine del giornalisti, Rai e Telecom Italia.
Dove lavora: la Fondazione Censis svolge dal 1964 una costante e articolata attività di ricerca in campo socioeconomico. Dal 1967 redige il «Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese». Giunto quest'anno alla 39° edizione, il Rapporto è considerato uno dei più qualificati e completi strumento di interpretazione della realtà italiana.

Andrea Granelli
FONDAZIONE ROSSELLI
Chi è: Andrea Granelli, 45 anni, dirige l'Istituto di economia dei media (Iem) della Fondazione Rosselli. Insegna Sistemi e tecnologie della comunicazione alla Sapienza di Roma. È membro di Cotec, una fondazione per l'Innovazione tecnologica, e di eEurope, advisory group della Commissione Europea per l'attuazione della Società dell'informazione.
Dove lavora: l'istituto di economia dei media della Fondazione Rosselli è nato nel 1991. Quest'anno ha pubblicato l'«Ottavo rapporto sull'industria della comunicazione in Italia». La Fondazione Rosselli è un istituto indipendente, che compie ricerca di base e applicata nel campo economico, sociale e politico.

INTERVISTA "Parallela"

DOMANDA Raffaele Pastore Andrea Granelli
Il pubblico dei nuovi media è sempre più crossmediale: utilizza, cioè, media diversi simultaneamente. Le statistiche non misurano questo fenomeno. Sono pensabili nuovi sistemi di rilevazione? «Un metodo di rilevazione può essere valutato solo per la sua congruenza rispetto agli obiettivi. Se i risultati vengono usati per altri scopi, non è colpa del metodo. Non esiste obiettivo innovativo che non possa avere un metodo per raggiungerlo. Il fenomeno della crossmedialità è però più interessante per i suoi effetti sul piano cognitivo e comportamentale delle persone, che per le minute modalità del suo farsi a livello individuale». «La crisi di questi sistemi è oramai conclamata. L'introduzione di nuovi è certamente una priorità, anche se una caratteristica specifica di questa fase di grande cambiamento è proprio l'inadeguatezza non solo delle misure, ma delle teorie interpretative. Ad esempio: meccanica quantistica e teoria della complessità cercano nuovi schemi, ma accettano anche di convivere con l'incertezza. Si ricercano tracce, segnali deboli e non evidenze oggettive».
Il pubblico dei media si va dividendo in due categorie: il pubblico attivo, quello per esempio dei blog, o di chi interagisce ai programmi televisivi via sms, e un pubblico passivo. Quali saranno le principali conseguenze? «Al giugno 2005, i multimediali attivi in Italia sono stimabili in circa 10 milioni e 200 mila persone (giovani e adulti, dai 14 ai 64 anni), e sono cresciuti dal 2001 al ritmo di 450 mila persone in media all'anno. I monomediali passivi sono 39 milioni e 600 mila (adulti e anziani, da 30 a oltre 65 anni), sono diminuiti in media di 370 mila persone all'anno. Questa è la dinamica di fondo, le conseguenze sono autoevidenti». «Non credo ai tagli netti. Oggi i nuovi media consentono agli utenti di fare emergere le molte "facce" in cui le loro personalità si articolano (pensiamo agli avatar, ai giochi di ruolo, alle chat). È crollato il mito dell'uomo "tutto di un pezzo". La dialettica attività/passività va rivista: in certi momenti siamo attivi e in altri siamo passivi. Non è solo il mezzo a condizionarci, ma anche il momento della giornata e l'esperienza che stiamo vivendo».
Il digitale sta trasformando il sistema dei media. Al posto delle classiche filiere verticali stanno nascendo specializzazioni orizzontali. Tra i grandi protagonisti dei media, chi fa resistenza e chi ne coglie i vantaggi? «La potente ondata digitale che ha investito i media ha ripulito le incrostazioni ma nulla ha potuto, o quasi, sui due faraglioni di riferimento dell'esperienza mediale delle persone: la televisione tradizionale e la lettura, cartacea, di giornali, periodici e libri. Almeno al 2005. Il digitale è il vento dell'innovazione nella forma più recente che questa ha assunto, nessuna molecola può restar ferma, chi non se ne avvantaggia va dritto ai margini». «Chi ha maggiore rendita da posizione ostacola l'innovazione. La divisione del mercato in infrastrutture e contenuti non tiene più: nuovi intermediari come Google sono fornitori di contenuti grazie a sofisticatissime infrastrutture. I loro contenuti non sono protetti dal diritto d'autore ma dal processo che hanno costruito e da una ossessione continua per l'innovazione. La capacità di fidelizzare i consumatori e "traghettarli" verso il nuovo sarà la chiave».
La convergenza digitale da tanto tempo teorizzata tarda ad arrivare, almeno per ciò che riguarda internet a banda larga, digitale terrestre, telefonia. L'idea di convergenza era sbagliata o, semplicemente, serve più tempo del previsto? E perché? «Serve più tempo del previsto. E nel frattempo la direzione potrebbe persino mutare. Questo è l'aspetto più interessante. I fattori che intervengono sono troppi e multivariati (dalle tecnologie ai mercati). Su questo tema non credo esistano soggetti (siano essi imprenditori o intellettuali) capaci di previsioni lunghe. Meglio navigare a vista, occhi aperti e cervello pure». «In verità la convergenza è oramai un fatto concreto. La fusione operativa fra Tim e Telecom lo testimonia. Il digitale terrestre senza canale di ritorno ha poco valore. Non è chiaro, invece, come le convergenze cambieranno l'assetto competitivo: chi uscirà rafforzato e chi indebolito? Di certo lo scenario sarà condizionato anche dai comportamenti e dalle preferenze degli utenti».
La crescita dei nuovi media digitali è un'estensione di quanto sviluppato pioneristicamente su internet o deriva da diverse logiche? «Internet è stato il pivot. Si pensi solo al concetto, oggi ovvio ed esteso, di "navigazione". Si pensi alla funzione di "facilitatore della relazionalità", oggi imprescindibile. Si pensi alla "usabilità" nelle materie della vita quotidiana. Si pensi alla immediatezza con cui i più giovani usano le nuove tecnologie. Pensando a tutto questo si avranno chiari il peso e la qualità del cambio di paradigma culturale che stiamo vivendo dopo Internet». «La ricerca delle cause è sempre un esercizio difficile, soprattutto in un sistema complesso. Internet è uno strumento rivoluzionario e influente, esso stesso condizionato dai media che lo hanno preceduto. Citerei una riflessione di David Bolter: "Un medium si appropria di tecniche, forme e significati sociali di altri media e cerca di competere con loro o di rimodellarli in nome del reale". Ogni medium "ri-media" i media precedenti».
La televisione tradizionale perde audience e autorevolezza. Il futuro della tv sarà via internet (digitale terrestre) o via satellite, con una esponenziale moltiplicazione dei canali. Chi la governerà? I proprietari delle piattaforme o i fornitori di contenuti?
 
«Non dimenticate che anche la trasformazione della televisione tradizionale sarà molto più lenta del previsto, e con esiti, oggi, imponderabili. Chi sogna la cancellazione di questo medium, forse, si sbaglia. Perché i media, storicamente, tendono a coesistere. Tendono a integrarsi e non a elidersi. Distributori e fornitori andranno sempre a braccetto. Anche in quanto braccia dello stesso corpo: spesso è più facile e conveniente». «Spesso la morte annunciata di una tecnologia si rivela errata o troppo anticipata. Come non ricordarci le previsioni sulla fine della radio all'affermarsi della tv. Oggi la radio è viva e vegeta: anzi, ha colto le opportunità offerte da Internet prima di altri. Ci troveremo di fronte a una società poli-mediale con molti governi, non tutti noti e monitorati. Ad esempio: chi sovraintende oggi ai contenuti dei videogiochi?».
La pirateria fa bene o fa male all'innovazione? «È difficile dire che faccia bene. È come un bacillo: ci atterra ammalati, ma poi il sistema immunitario se ne avvantaggia. Mentre si sta nell'angolo a prendere pugni si può invocare l'arrivo dell'arbitro, e nel frattempo si continua a subire. Oppure si può provare con un inaspettato (innovativo) gancio sinistro che metta al tappeto l'avversario: sul mercato, nella competizione, si fa così. Diversamente si perde, aspettando l'arrivo dell'arbitro» «Il pirata è contro la società e per l'arricchimento personale, ed è quindi dannoso. Ma siamo sicuri che tutti quelli che pretendono maggiore libertà nello scambio dei contenuti digitali siano pirati? Con il digitale il concetto di copia è cambiato. Un esempio: l'accesso a un sito crea sempre una copia temporanea sul Pc. Anche il concetto di proprietà muta, come ha osservato Rifkin. Vanno quindi rivisti i fondamenti stessi del diritto d'autore».

Il Sole24Ore - Nova, 24 novembre 2005