Giuliano Da Empoli: Design italiano, il fascino del bello

La nomina di Pininfarina a senatore a vita ha portato alla ribalta un settore dalle grandi potenzialità

Qualcosa si sta muovendo nella cultura produttiva del Paese. Fino a questo momento, infatti, nonostante il suo incredibile successo, il design è sempre stato, in Italia, cultura di opposizione, alternativa al sistema: una sorta di nicchia privilegiata ma clandestina. Come ci ha spiegato Andrea Branzi in un bel libro di qualche anno fa, infatti, il nostro design è il frutto di un'alleanza tra soggetti in qualche modo periferici: da una parte i piccoli e medi imprenditori del settentrione, dall'altra gli intellettuali creativi. La flessibilità e la varietà scaturite da questa inusuale combinazione (laddove in altri Paesi è stata soprattutto la grande industria a puntare sul design) ha rappresentato il suo punto di forza. Al tempo stesso, però, ha determinato la sua esclusione dai circuiti istituzionali. Di conseguenza, al nostro design è mancata la committenza pubblica: scuola, sanità, pubblica amministrazione non hanno praticamente mai tenuto conto della qualità estetica dei manufatti che acquisivano in quantità industriali. È mancata, però, anche la capacità imprenditoriale che avrebbe potuto condurre a un'Ikea italiana, del tutto inconcepibile per la nostra aristocrazia del design. È mancato, infine, un bagaglio teorico e formativo che ne supportasse e ne strutturasse lo sviluppo: si pensi che una laurea specialistica è stata istituita dal Politecnico di Milano solo negli anni Novanta. Non si sono, insomma, mai verificate condizioni che potessero consentire al design italiano di uscire dalla cerchia degli addetti ai lavori per diventare cultura diffusa, di massa, come è accaduto, ad esempio, in Scandinavia. Al contrario, si può dire che il design, in Italia, abbia sempre dovuto confrontarsi con un contesto ambientale indifferente, se non addirittura ostile. Oggi questo stato di cose deve cambiare, se vogliamo essere in grado di cogliere l'occasione di rientrare dalla finestra nell'economia ad alto valore aggiunto che sembra averci scacciato dalla porta. Fin da oggi, i computer si vendono tanto per il loro aspetto estetico (bianco, lucido, levigato...) quanto per il loro contenuto tecnologico. Sullo sfondo, poi, c'è una rivoluzione tecnologica che cambierà, ancora una volta, il nostro modo di vivere. In pratica, tutti gli oggetti che popolano la nostra vita quotidiana saranno dotati, nel corso dei prossimi anni, di minuscoli terminali, collegati in banda larga, che li metteranno in condizione di diventare "intelligenti", fornendo servizi impensabili fino a questo momento. L'esempio classico è quello del frigorifero che si rifornisce da solo, inviando per e-mail la lista della spesa al supermercato più vicino. Ma se ne potrebbero fare infiniti altri. Ora, il punto è che, come ha scritto Andrea Granelli, «il successo di questi oggetti non sarà legato solo al cuore tecnologico, ma anche alla bellezza del loro involucro, alla loro capacità di contestualizzarsi, alla semplicità d'uso». Tutti elementi sui quali il design italiano è in condizione di fornire un contributo decisivo. Da noi, infatti, il design è il frutto di una tradizione artigianale, che mette il cliente e i suoi problemi al centro delle sue preoccupazioni, anziché far derivare meccanicamente soluzioni standardizzate dalle caratteristiche del prodotto. I risultati di una recente inchiesta internazionale ci dicono che i prodotti italiani «non vengono riveriti come opere d'arte, da guardare ma non toccare come quelli francesi, ma sono apprezzati per la loro usabilità e funzionalità, per la capacità di dare una dimensione estetica al quotidiano». E potrebbe essere proprio questo orientamento alla soddisfazione del consumatore, questa capacità estrema di reazione e di personalizzazione a trasformarsi in un vantaggio competitivo decisivo. Non è un caso se è stato un italiano emigrato negli States a rivoluzionare il mercato delle periferiche per computer reclutando il designer Hartmut Esslinger per disegnare i prodotti della sua Logitech. A questo punto, però, serve la capacità di fare un salto di qualità. Bisogna sviluppare la consapevolezza che è questa, e non le biotecnologie o la chimica, la strada attraverso la quale l'Italia può trovare un ruolo nell'economia ad alto valore aggiunto del XXI secolo. Il design, insomma, va visto come un'area di ricerca sulla quale concentrare investimenti pubblici e risorse culturali, anziché inseguire improbabili utopie californiane. Forse è questo il messaggio che il Capo dello Stato ha voluto trasmettere con la nomina a senatore a vita di Sergio Pininfarina.

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