CONNETTERSI A CHE SCOPO ?
Connettere si, ma non troppo
Da anni siamo esposti ad una quantità infinita di collegamenti, ma la mia opinione è che la gente sia stanca di essere troppo connessa. Ad oggi, avere anche un telefonino con cinquanta pulsanti provoca più ansia che vantaggi. La connettività è senza dubbio importante, ma non bisogna esagerare.
La vita mobile, l’essere sempre connessi, comporta peraltro che in ogni engagement relazionale si debba raccontare se stessi; sì è sempre in gioco e, se si vuole fare bella figura, bisogna dedicare energie agli altri. Questo impegno relazionale comporta una buona dose di stress. Da un po’ di tempo si assiste già a casi di gente angosciata da troppa connettività.
Alcune persone non riescono più a delimitare il proprio spazio privato, non trovano più il tempo per stare semplicemente soli e ricercare una forma di pace e di serenità intima.
All’opposto, cominciano a verificarsi anche patologie da sconnessione. Persone che, private anche per poco tempo della possibilità di connettersi, cominciano ad agitarsi al pensiero di non essere reperibili, di chissà cosa sta succedendo nel mondo a loro insaputa.
Le abitudini dell’uomo sono sempre state modificate dalla tecnologia, questo è un fatto noto. Le nuove tecnologie influenzano ogni aspetto della vita umana, il modo di pensare il presente e il futuro, le modalità con cui ci si relaziona e si percepisce; ma non bisogna dimenticarsi che esistono vari modi di farne uso. Non dubito dei vantaggi resi disponibili dalla connettività, contesto soltanto qualsiasi visione aprioristicamente positivista e illuminista nei confronti delle nuove tecnologie.
Il confine fra noi e gli altri
Quando la tecnologia viene introdotta all’interno di una qualsiasi organizzazione di fatto cambia, modifica ed altera lo status quo.
Ma cosa cambia realmente nella società digitale? Sicuramente ci sono una serie di concetti che a causa delle innovazioni tecnologiche necessitano di essere rimessi in discussione.
Innanzi tutto il concetto di soggettività e la definizione del confine che ci separa dagli altri. Parlare di co-sharing, di intelligenza connettiva e di internet induce a pensare che l’individuo tenda via via a scomparire per diventare quasi esclusivamente parte di un tutto. Esistiamo ancora in quanto singoli o partecipiamo soltanto a un grande mondo, ad un unico organismo collettivo?
Un altro concetto da rivedere è l’idea di conoscenza: ciò che conosco mi appartiene e mi distingue o non sono altro che un elemento attraverso cui risuona la conoscenza connettiva? Di conseguenza entra in crisi anche il concetto di proprietà: cos’è il mio e cosa di altri? Rifkin arriva a pensare che non esisterà più la proprietà bensì soltanto l’accesso alle risorse.
Altra questione fondamentale: cosa è umano e che cos’è artificiale in una società che tende a produrre cyborg e a introiettare le tecnologie dentro al corpo? Il binomio dicotomico tra “artificiale” e “naturale” comincia a non reggere più.
Il digitale, in sostanza, sta davvero mettendo in dubbio molti aspetti della vita umana e associata che un tempo erano nitidi e ben definiti e a noi, come al solito, non resta che adattarci.
Memorie virtuali e information broker
L’uomo nel futuro comincerà ad utilizzare delle memorie virtuali: le tecnologie o i siti internet potranno essere visti come una specie di estensione della nostra memoria, dei contenitori dove metteremo pezzi della nostra conoscenza. Io stesso ho creato un sito personale, molto grande, non solo di memorie e di ricordi, ma anche di conoscenza, contiene più di cinquecento sintesi di libri che ho letto, riassunto e ristrutturato a mio modo. Questo significa che probabilmente nel futuro l’apprendimento non sarà necessariamente legato alla capacità di trattenere in memoria una certa quantità di conoscenza. Ma non varrà nemmeno il discorso “tanto troverò tutto su internet”, la mole di informazioni reperibili comporterà forse la necessità di information broker in grado di orientarsi meglio di chiunque altro dentro le logiche dei motori di ricerca, che comunque saranno troppo anonime e standardizzate per soddisfare le personalissime esigenze di ciascun individuo. L’unica soluzione resta dunque la creazione di un proprio archivio di informazioni strutturato secondo criteri di organizzazione del tutto personali.
Per concludere, la tecnologia utilizzata fine a se stessa, solo per passare il tempo o per condividere degli spazi tutti insieme senza poi dare senso a queste relazioni, è abbastanza alienante. E’ invece necessario guardare al futuro, favorire l’innovazione, tenendo sempre presente l’utilità e i vantaggi reali che tali innovazioni possono apportare in termini di “qualità di vita”. In caso contrario è molto più bello non essere collegati.
NEXT n.20, 2004