L’innovazione sostenibile
Andrea Granelli
L’innovazione è piena di sorprese, trabocchetti e controsensi. Bisogna partire da una visione antropologica a tutto tondo per costringere lo sviluppo tecnologico a migliorare sul serio la qualità della nostra vita
Come nasce l'innovazione
“L'inerzia è una forma logora della disperazione”
(Saint-Exupéry)
L'innovazione
segue spesso percorsi non lineari e prevedibili; alle volte nasce per caso o
dopo una lunghissima gestazione, quasi un torpore. Il sapone "che galleggia"
Ivory (ideale per i lavaggi in tinozze verticali di
quel tempo) fu scoperto nel 1879 per caso, perché un tecnico dimenticò accesa
la macchina di miscelazione creò una schiuma piena d'aria. Fu una vera
rivoluzione: il sapone galleggiava, era bianco candido (rispetto al tipico
giallo), non irritava la pelle, non rovinava le superfici lavabili e i tessuti.
Nel
caso delle foto istantanee, il ricercatore chimico Edwin
H.Land, dopo avere scattato
una foto a sua figlia, si sentì chiedere "me la fai vedere". Fu così
che gli venne in mente il futuro sistema Polaroid.
Altre
volte l’invenzione era pensata per altri scopi: La radio nacque a fine '800
come telefono punto - punto (in risposta al
telegrafo), ma non ebbe molto successo perché non si riuscivano a rendere
private le telefonate.
Edison,
dopo aver costruito il prototipo del registratore nel 1877, scrisse un articolo
in cui proponeva dieci possibili usi per il nuovo oggetto: fissare per sempre
le ultime parole dei moribondi, registrare libri da far ascoltare ai ciechi,
annunciare l'ora esatta, insegnare a scrivere sotto dettato, e altro ancora. La
riproduzione della musica sembrava non interessarlo particolarmente.
In
altri casi l’invenzione sembra che “dorma” nell’inventore fino a che un uomo
con sensibilità di marketing ne scopre le potenzialità: è questo il caso del
comune DDT scoperto da O.Ziegler nel 1874. Si
dovettero aspettare 65 anni prima che il chimico svedese Paul
Müller, nel 1939, ne scoprisse le proprietà
insetticide. Ed è servito un altro notevole lasso di tempo
per ammettere la sua nocività.
Infine
alcune rivoluzioni, col tempo, sembrano addirittura “illogiche” poiché si è
dimenticato il contesto in cui sono nate. La
disposizione dei tasti della tastiera tipo qwerty
fu disegnata nel 1873 in modo da essere intenzionalmente irrazionale. Fu
progettata in modo da rallentare il lavoro di chi la usava, perché ad esempio
le lettere più comuni erano distanti fra loro e concentrate sul lato sinistro.
Questo fu fatto perché i modelli del 1873 si bloccavano se due tasti adiacenti
battuti in rapida successione, e così gli ingegneri dovettero escogitare
trucchi perché questo non accadesse. Quando il progresso tecnico fece sparire
il problema, si poté progettare una tastiera più efficiente; nel 1932 ne fu presentata
una che raddoppiava la velocità e abbatteva del 95 per cento la fatica, ma venne rifiutata dagli utenti.
Oltre
a ciò può capitare che le vere innovazioni “riducano” le
funzionalità, non le accrescano. Il giornalista e scrittore statunitense
Douglas Ruskoff, alla
domanda "Quale è stata l'invenzione più
importante negli ultimi 2.000 anni ?" rispose causticamente "Gli
strumenti per cancellare".
Nel
mondo dei servizi, il tema si complica a causa del determinante
ruolo dell’utente, unico a stabilire il "vero utilizzo”. Gli SMS, ad
esempio, nacquero come sistema per trasferire
informazioni di controllo; nessuno ipotizzava che sarebbero diventati uno dei
mezzi di comunicazione preferiti dai giovani, arrivando addirittura a coniare
un nuovo linguaggio espressivo.
“La vera questione non è se le macchine pensano, ma se
gli uomini pensano”
(Federick B.Skinner)
A
questa complessità nel definire o condizionare il processo dell’innovazione, si
aggiunge l'illusione della crescita positiva "a
tutti i costi". Risultano illuminanti – e
particolarmente attuali dopo lo sgonfiamento della bolla della e-economy e dopo i casi di falsificazione dei bilanci – le
riflessioni di Fritjof Capra nel suo libro Il
punto di svolta (1982). Il fisico austriaco mette in luce quanto la
filosofia di Cartesio abbia condizionato e continui a
condizionare il modo di pensare (e di agire) occidentale. Il presupposto è
avere una concezione dell'uomo (e della donna) come dominatori della natura, la
visione dell’uomo come “macchina” composta di pezzi e la convinzione della
superiorità della mente razionale sull’istinto.
Questo atteggiamento comporta molti paradossi legati all’innovazione, come per esempio il fatto che “siamo in grado di controllare l'atteggiamento morbido di sonde spaziali su pianeti lontani, ma siamo incapaci di controllare i gas inquinanti liberati dalle nostre automobili e dalle nostre fabbriche”.
Un altro male da “eccesso di crescita”, sempre secondo Capra, si ha nel caso della medicina. “L'uso eccessivo di alta tecnologia nella cura medica è non solo antieconomico, ma causa anche quantità evitabili di dolore e di sofferenze. In ospedale si verificano oggi incidenti con una frequenza molto maggiore che in qualsiasi altra industria, fatta eccezione per l'industria mineraria e la costruzione di grattaceli. E' stato stimato che uno su cinque pazienti ammessi in un ospedale di ricerca tipico contrarrà una malattia iatrogena, conseguente in metà circa dei casi a complicazioni indotte da farmaci e per un sorprendente 10 per cento a procedimenti diagnostici”.
Questa metafisica positivista ha fortemente condizionato le aziende, il loro modo di fare innovazione e le metriche per misurare il successo o insuccesso delle aziende.
Come la psiche interagisce con la tecnologia
“La tecnica mutila ogni desiderio che soddisfa”
(N.G.Dávila)
Dicevamo che l’ICT ha in qualche modo fatto esplodere alcune delle caratteristiche del processo innovativo: maggiore tasso di innovazione, maggiore difficoltà a prevedere il “corretto utilizzo” e maggiore pervasività della tecnologia in tutti gli aspetti della nostra vita: educazione, salute, divertimento, lavoro. Inoltre la virtualità e polisensorialità intrinseca di queste tecnologie assume la psiche come target primario.
Questa rivoluzione ha quindi due facce: una positiva e una – meno discussa – negativa.
Sul
fronte positivo vi è un complessivo potenziamento
dell’agire umano: una memoria estesa, maggiore tempestività nell’avere
informazioni e nell’agire, ubiquità di persone e informazioni che ne aumenta la
circolarità e presenza nel sistema, solo per citare alcuni benefici legati alla
rivoluzione elettronica. In particolare, l’evoluzione della memoria sembra
essere un tema privilegiato. Vediamo alcune riflessioni sul tema: Internet è un
grande cervello formato da un web di informazioni
interconnesse (Tim Berners-Lee,
inventore del WWW). Il principio dell'ipertestualità
permette di trattare il web come l'estensione dei contenuti della propria
mente. L'ipertesto trasforma la memoria di ognuno in quella di tutti e rende il
web la prima memoria mondiale (Derrick De Kerckhove).
Internet è una memoria che ricorda tutto, troppo. L'intelligenza è altro: è
saper distinguere (Umberto Eco).
Dal
punto di vista psicologico, una caratteristica interessante del cyberspazio consiste nella possibilità di usare delle
maschere, ossia di assumere identità virtuali attraverso le quali influenzare
la percezione che si ha degli altri, ma anche la concezione del sé: protette
dall'anonimato, le persone sono incoraggiate a
esprimere e sperimentare tratti della loro personalità che le inibizioni e il
controllo sociale indurrebbero a reprimere. Un altro aspetto rilevante è il fatto che connettersi a Internet sfida la psicologia
dell'ego, fornendo un modo di considerare l'ego non come un'autorità centrale,
ma come un sistema emergente. Attraverso una lente "connessionista"
– per usare un’espressione dello psicoanalista David Olds
– l'ego può essere ricomposto come un sistema distribuito. Infine
il “virtuale di un individuo” che interagente con Internet, non è altro che una
ramificazione del proprio sé, una parte del suo Io che esce allo scoperto,
a prescindere dal fatto che sia più o meno consapevole.
Ma
concentriamoci di più sul lato negativo, non perché sia più rilevante ma perché
è meno esplorato.
Uno
dei dati più evidente è lo straripamento
dell’informazione. Si è passati dal mito dell’ “informazione
uguale potere” alle angosce legate all’eccesso di informazione. Qualche dato –
preso dal recente libro di Giuliano da Empoli sul tema – mette in luce questo
fenomeno. 5,5 miliardi di documenti prodotti, ogni anno,
dalle sole aziende americane. La libraire
particulière del re di Francia Carlo V nel 1368
conteneva 917 volumi (tutto lo scibile umano dell'uomo tardo medioevale). Circa
600 anni dopo (nel 1997) il presidente Chirac
ha inaugurato la nuova biblioteca nazionale francese, con 400 km di scaffali
che contengono 10 milioni di volumi, 350.000 periodici, 76.000 microfilm, .... A fine 2001 Internet ha 550 miliardi di pagine che
crescono al ritmo di 7,3 milioni al giorno. Nel 2002 si prevedono 200 miliardi
di SMS nel mondo.
Questa
situazione sta creando nuove patologie. Una delle più note è
il cosiddetto “Attention Deficit Disorder” - un disturbo direttamente ricollegabile
all'overdose informativa che, in presenza di stimoli continui, preclude ai
bambini che ne vengono colpiti una qualsiasi capacità di concentrazione. Questa
malattia è in forte aumento. Oggi si calcola che quasi un bambino su tre
soffra, negli USA, di questo disturbo, che tende a colpire soggetti più
intelligenti della media, molto ricettivi rispetto agli stimoli esterni. Ciò è
legato anche al fatto che, mentre una trasmissione televisiva o un libro sono delimitati da un inizio e da una fine, la navigazione
su internet non ha confini.
Altre patologie emergenti sono per esempio l’ansia da scollegamento – la gente ha paura nel non essere più collegato, di non vivere gli eventi, di perdere informazioni rilevanti; ciò sta spingendo i giovani a diventare sempre più “iper-presenti” e, alla fine, ritenere che non esista un futuro.
Ma le criticità non nascono tutte con l’avvento della Rete. Basta ricordare che – come sottolineato da una recente ricerca di Eurisko – i bambini guardano dalle 2 alle 7 ore al giorno la TV (media 3,5). La TV diviene il vero faro normativo, insieme agli shopping centers (le 2 grandi "realtà omologanti"). La pubblicità diviene l'universo normativo dei consumi "giusti", particolarmente pericoloso per i bambini, che sono senza filtri culturali.
L’innovazione sostenibile
(John Thackara)
Bisogna adottare un modello
antropologico dell’uomo per disegnare l’innovazione sostenibile, l’innovazione
giusta. Ritornando alle riflessioni di Capra, si dovrebbe adottare una visione
del mondo caratterizzata da parole come organica, olistica
ed ecologica, in contrasto con la concezione meccanicista cartesiana del mondo.
L' universo non verrebbe visto più come una macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma dovrebbe essere raffigurato come un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico.
"Ogni invenzione o tecnologia è un'estensione o un'auto-amputazione del nostro corpo, che impone nuovi rapporti e nuovi equilibri tra gli altri organi e le altre estensioni del corpo" (McLuhan ).
Servono "autorità", nel senso di autorevoli riferimenti positivi e visibili, per abbattere le barriere al cambiamento. Ogni cambiamento, si sa, fa paura (soprattutto a chi ha privilegi) e richiede un sacrificio del principio di piacere per benefici futuri che spesso deve essere imposto.
La ricontestualizzazione della tecnologia deve partire dall’uomo e dal suo “essere sociale” e deve usare i metodi tipici del design: una collezione multidisciplinare di metodologie e di speciali accorgimenti che consideri in maniera solistica tutto ciò che influisce sugli human factors.
Solo
in questo modo si può generare innovazione sana. Ciò non vuol dire solo
inventare cose nuove, ma anche utilizzare correttamente cose note. Per esempio,
il cinema con il suo linguaggio consente, nell'ambito dell'insegnamento e della
ricerca, una rappresentazione di condizioni psico-patologiche, che non possono venire illustrate da nessun filmato didattico, da
nessuna registrazione diretta di pazienti, da nessuna illustrazione verbale.
Il design deve disegnare interfacce amichevoli per anestetizzare la paura della tecnologia. La polisensorialità si sta affermando nelle nuove tecnologie (i profumi, l'uso della luce, il tatto/vibrazioni, ecc.); l’IDI (l’Interaction Design Institute di Ivrea), ad esempio, sta sperimentando il cosiddetto “abbraccio telematico”, la possibilità cioè di inviare, con un messaggio telefonico, un abbraccio virtuale a chi indossa un certo tipo di maglietta.
Anche
l’uso di una metodologia classica nel mondo delle aziende – il competitive benchmarking – che ha l’obiettivo di identificare le realtà
più innovative per copiarne gli aspetti salienti, richiede, particolare cautela
nel mondo dei servizi ICT. Vanno infatti affiancate
alle classiche valutazioni di marketing, anche riflessioni più squisitamente
antropologiche. Per esempio se consideriamo le applicazioni innovative e di estremo successo fatte da DoCoMo
in Giappone sui telefonini, il loro semplice “trapianto” in Europa può essere
particolarmente rischioso. Bisogna infatti valutare
che il Giappone è una cultura intrisa di rituali e di valori (rispetto
dell'altro, rispetto della natura, ecc.). Per esempio, il Manga è molto di più
che un fumetto: è una fuga dalla realtà (nella quale il giapponese ha scarsa
individualità in quanto membro di un team) dove egli
sogna e diventa super-eroe.
Molti giapponesi passano 2-3 ore al giorno stipati in treni a fare commuting e al di fuori di questo hanno pochissimo tempo disponibile.
Il giapponese ha un senso estetico e del colore (basta pensare ai piatti di sushi) quasi unico. Le case dei giapponesi sono spesso molto piccole e con pochi mobili. Spesso non c'è spazio per i PC. Il terminale I-mode diventa quindi l'UNICO terminale ICT e diventa il Web.
Non è affatto facile prevedere cosa potrà accadere in Europa nell’assimilare e utilizzare nuove tecnologie simili all’I-mode. L’individualismo e le numerose sfaccettature delle culture europee lascerebbero supporre una estrema difficoltà a creare spazio per un tipo di innovazione alla DoCoMo giapponese. Tuttavia, tutto quello che potrà accadere nell’utilizzazione del nuovo accadrà, e troverà il suo sviluppo tecnologicamente sostenibile, solo se sarà inventato e disegnato presupponendo il modello antropologico dell’uomo.
Andrea Granelli è
amministratore delegato di Telecom Italia Lab