La doppia anima dell’impresa: Ricerca e Business in Telecom Italia Lab

 

Gilda Morelli intervista Andrea Granelli

 

Organizzazione, capacità, umiltà, equilibrio, condivisione possono compiere il miracolo di una Italia che ri-fiorisce nella creatività. Per attrarre cervelli, non per espellerli

 

Simili errori di previsione sono molto comuni: le stesse affermazioni di Bill Gates sullo sviluppo di Internet lo testimoniano. E più le tecnologie contengono sapere, più la prevedibilità è difficile. Per questo nel 1961 in Italia, grazie all’intelligenza e all’intuizione di Guglielmo Reiss Romoli, nacque il Centro Studi e laboratori per le Telecomunicazioni, CSELT, un centro di ricerca dove inventare e sperimentare nel settore delle telecomunicazioni.

Torino, già sede dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferrarsi e del Laboratorio Ricerche RAI, divenne così il popolo italiano della ricerca nel settore.

Allo CSELT si debbono innovazioni tecnologiche importanti come l’MPEG 1/2/4 e l’MP3, il perfezionamento della tecnologia GSM e dell’ADSL.

Oggi, lo CSELT ospita 1.100 scienziati e ricercatori impegnati nello sviluppo e nel perfezionamento delle tecnologie multimediali e della voce, nelle piattaforme Internet, nella rete mobile e nella sperimentazione e certificazione dei nuovi sistemi. Il  Centro vanta oltre 400 invenzioni brevettate.

La nuova società Telecom Italia Lab intende cogliere e sviluppare sinergie tra le preziose eredità della Ricerca e Sviluppo dello CSELT e il Corporate Venture Capital di Gruppo, attraverso le sue strutture di Torino, Roma, Venezia, San Francisco e, più recentemente, New York. La sua missione è quella di produrre innovazione per il Gruppo e la comunità attraverso il trasferimento di know how e l’investimento diretto in piccole imprese dal forte contenuto innovativo. Coerentemente, il  Centro di Innovazione di Napoli, inaugurato di recente, nasce con l’obiettivo, anche sociale e culturale, di favorire lo sviluppo imprenditoriale; mentre il Future Centre di Venezia, operante già da tempo, aiuta a dare le giuste indicazioni per l’orientamento ai business futuri.

Praticamente, Telecom Italia Lab vuole essere un giardino dove coltivare le idee. Così il nascente Interactive Design Institute di Ivrea ha l’obiettivo di favorire e diffondere la cultura della tecnologia, del design e del possibile abbinamento tra i due.

Su tutto questo, Next ha intervistato l’Amministratore Delegato Andrea Granelli.

 

Next: Può raccontarci, la sua personale esperienza?

Granelli: Ho sempre cercato di unire l’aspetto della ricerca con quello dell’operatività. Anzi, io penso che una persona credibile nel mondo della ricerca debba anche sperimentare e applicare l’idea alla realtà. Sin dall’inizio della mia formazione ho prediletto e coltivato la doppia anima di studioso e di manager. Ho frequentato il Classico e all’Università ho studiato Informatica, poi ho lavorato per cinque anni al CNR e in seguito ho avuto diverse esperienze aziendali, tra cui Iniziativa Meta del Gruppo Montedison dove mi sono occupato di Informatica e di Strategie, per raggiungere poi la consulenza alla Mc Kinsey. Tra le mie esperienze, probabilmente è proprio nella consulenza che ho potuto maggiormente provare il ruolo di studioso, ricercatore, tecnologo, manager attraverso l’implementazione delle idee nei contesti produttivi. Occorre avere l’intuizione giusta, non  idee grandiose ma inattuabili.

L’intuizione, che io credo sia la base irrinunciabile per il successo di ogni iniziativa, risiede proprio nell’applicabilità, nell’utilizzo socialmente utile che se ne può fare. Il delirio di grandezza, contrariamente all’intuizione, invece, non porta a nulla. In Mc Kinsey ho maturato l’esperienza fondamentale sulle tematiche organizzative sperimentando nuovi modelli. Nell’alternanza tra studi scientifici e umanisti, ho fatto anche un’interessante esperienza in Psichiatria, lavorando soprattutto sui test proiettivi di Rorschach. Questa esperienza, che io reputo fondamentale, mi ha permesso di entrare nel mondo della psicologia, altra disciplina principe per comprendere i fenomeni di utilizzo delle nuove tecnologie.

L’obiettivo vero delle nuove tecnologie, infatti, è di essere utilizzate; occorre, quindi, fare attenzione affinché tutte le possibili barriere al suo utilizzo vengano identificate e abbattute. Le barriere organizzative e culturali sono generalmente le più vistose, ma  la psicologia aiuta il manager a gestire le persone e ad avere rispetto e comprensione profonda di esse per superare l’ostacolo più insidioso di tutti: la paura di cambiare, di tuffarsi nell’ignoto.

Adesso come A.D. di una struttura di 1.300 persone mi sento obbligato a entrare in maniera molto diretta nei rapporti. La psicologia è vicina all’innovazione tecnologica più di quanto si possa immaginare.

 

Next: Come nasce l’idea di Telecom Italia Lab e a quali strategie si affida la nuova azienda? Inoltre, cosa significa trasferire il know how tecnologico sul mercato?

Granelli: Occorreva avere un progetto stimolante e creare una visione reale e immediatamente riconoscibile. Il primo ingrediente per accelerare l’innovazione, per innovare questo gruppo, in maniera forte, sentita e consistente, era costruire all’interno una vision che fosse eccitante e appassionante.

Il secondo ingrediente risiedeva nella credibilità: occorreva cioè dimostrare all’esterno, agli azionisti, ai propri capi, al mercato, ma soprattutto ai dipendenti, che l’idea della nostra nuova struttura fosse sostenibile, anche se difficile, e che le persone che la proponevano fossero credibili. Questo è probabilmente, l’aspetto più difficile, dove oltre alle competenze più prettamente tecnologiche e di business, oltre alla dimensione psicologica e organizzativa, occorreva anche la capacità delle persone di assorbire e diffondere la cultura del cambiamento, le sue finalità e le sue logiche. 

Da qui il terzo fondamentale ingrediente: la comunicazione. Occorreva cioè saper comunicare bene la visione. Anzi, spesso la visione appassiona proprio per il modo con cui viene comunicata. Le metafore, per esempio,     aiutano moltissimo a rendere comprensibile una spiegazione difficile.  

I leader non sono mai solo “capaci”, ma sono anche “capaci di comunicare”, spesso attraverso metafore efficaci, l’innovazione che stanno producendo.

 

Next: Come si organizza l’innovazione al fine poi di implementare le strategie aziendali?

Granelli: Innanzitutto occorre organizzare la squadra di collaboratori con i quali si intende raggiungere determinati obiettivi: una squadra che cresca possibilmente con una certa dialettica. Personalmente non ho mai amato competenze simili nello stesso gruppo, credo invece nel confronto, nell’interdisciplinarietà e nel gruppo.

Ho partecipato in maniera diretta all’organizzazione della mia squadra per Telecom Italia Lab; avevo del resto già fatto questa esperienza con Tin.it. Ho scelto i collaboratori più diretti e stabilito i principi organizzativi di base, ho poi delegato l’organizzazione delle relative strutture a coloro che avevo scelto.

Sono convinto che le strutture organizzative devono cambiare rapidamente perché hanno necessità di assecondare l’innovazione; devono quindi essere flessibili, ma assicurare il giusto peso gerarchico. Non credo alle retoriche organizzative con strutture gerarchiche assenti dove regna l’ambiguità organizzativa o peggio ancora il paternalismo mascherato delle Dot.Com con il tavolo da biliardo in bella vista; non funziona. L’organizzazione deve essere flessibile, non deve lasciar sedimentare il potere conseguente alla copertura di una posizione per troppo tempo. Ho personalmente voluto adottare un modello di organizzazione abbastanza gerarchico e articolato.

Tra i tanti modi con cui si può costruire un modello organizzativo, ho scelto quello della misurabilità, ho dato priorità alla creazione di strutture molto percepibili, con obiettivi molto chiari e che avessero al loro interno le leve gestionali. Per TILAB questo si è concretizzato in: Technology Integration & Research; venture capital; IDI, la Scuola di Design Interattivo. Per far questo abbiamo avuto il coraggio di osare, creando una struttura di 800 persone di fianco ad  una di 25. Abbiamo in pratica adattato l’organizzazione alle nostre competenze specifiche e alla misurabilità del loro utilizzo.

La cooptazione delle competenze innovative, molto scarse sul mercato, completa la complessità cui ci troviamo di fronte.

Non esiste mai un’organizzazione giusta, esiste solo una scelta legata ad un obiettivo specifico che spesso risolve alcuni temi aperti lasciati dalla precedente organizzazione. L’organizzazione flessibile è l’unica che rispetta le esigenze di cambiamento dell’essere umano e del mercato. Non credo alle strutture super flessibili e “giocherecce”. Le persone hanno bisogno che i capi si assumano le proprie responsabilità.

 

Next: La motivazione che funzione svolge in questo tipo di strutture organizzative?

Granelli: E’ fondamentale, sono io il primo a crederci, e a dare il buon esempio. La dimensione economica può aiutare, ma non sempre è utilizzabile. È per me invece il senso di appartenenza a un gruppo, a un obiettivo, a dare il contributo al progetto, alla missione, che stimola le persone ad esserci.

Occorre per primi essere credibili, soprattutto agli occhi dei propri collaboratori. Dai capi si impara moltissimo. Come ci ha insegnato Socrate “se non si sa ubbidire, non si sa comandare”. Io penso che il leader di una struttura deve esserne il modello, deve essere stimato e rispettato. La mia preoccupazione è sempre che le mie richieste vengano capite; allo stesso tempo è importante la delega. Soprattutto per noi che siamo a Roma, a Torino, a Venezia, a Napoli, a San Francisco, a New York.

 

Next: Quale è il ruolo del Venture Capital?

Granelli: L’intuizione di mettere insieme i laboratori, la ricerca e il venture capital risulta vincente. Oggi i principali concorrenti in Europa ci stanno emulando.

Si tratta di competenze molto diverse. La grande sfida di far lavorare insieme Finanza, Ricerca e Tecnologia introduce anche un concetto di umiltà del mondo della ricerca, che sinora si è nascosto dietro la conoscenza, il verbo. Usare il venture capital al servizio della ricerca è una grande sfida perché richiede di investire su un’idea, su un qualcosa che non esiste e che soprattutto non è stato concepito dentro le mura dei laboratori, forzando il superamento di quella che viene chiamata sindrome del “not invented here”. 

La dinamica competitiva ci è favorevole. Comunque la bolla speculativa dei mercati finanziari, non ancora completamente sgonfiata, sta facendo bene al nostro gruppo, perché solo coloro che hanno le competenze tecnologiche vere   ritornano a essere i protagonisti indiscussi del mercato. Il momento è quello giusto.   Qualsiasi azienda che vuole generare innovazione in un mercato imprevedibile dovrà usare il venture capital. Noi abbiamo avuto il coraggio di riportare il  venture capital nel suo contesto industriale originario utilizzando l’approccio di “corporate venture capital” e le conseguenti sinergie che solo un grande gruppo industriale può sviluppare.

 

Next: Spesso accade che chi ha l’idea buona non riesca a trovare i finanziamenti e chi ha i soldi da investire non riesca a trovare l’inventore giusto. Crede sia possibile agevolare l’incontro tra queste due realtà spesso distanti? Come può TILAB essere di aiuto?

Granelli: Innanzitutto sono convinto che le idee buone e intelligenti sono tante, ma l’idea è un semilavorato e in quanto tale anche va educata, nel senso che l’idea può essere intelligente o meno a seconda di come viene realizzata. L’idea è legata ad un gruppo di persone e alla loro capacità di portare avanti i progetti.

Noi stiamo lavorando a un progetto, a cui tengo molto, che abbiamo lanciato poche settimane fa, e che ho chiamato l’Executive Information System dell’innovazione, vale a dire la raccolta e gestione delle idee. Voglio raccogliere e valutare le idee, e questa è un’attività che non si può delegare a nessuno. Anche una piccola idea può essere la perla su cui vale la pena di investire. Per questo stiamo mettendo a punto una sorta di diagnosi della capacità ideativa di un gruppo; in sostanza si tratta di un sistema per raccogliere idee in maniera strutturata, facendo anche learning by doing, cioè facendo anche cultura sul modo in cui le idee vengono raccontate, strutturate o fruite attraverso i brevetti. Il decisore in questo modo può avere strumenti più oggettivi per valutare le buone idee. Il Know How Inventory sarà la nostra base documentale, in cui rappresentare in maniera esplicita le competenze, le persone di TILAB e il relativo network, e poi il patrimonio delle idee.

 

Next: Quali sono le più importanti eredità che la nuova struttura raccoglie? Quale è il programma per lo sviluppo delle PMI?

Granelli: Sono convinto che TILAB può portare un grosso contributo anche da un punto di vista sociale nel favorire la crescita delle piccole e medie aziende. L’iniziativa che abbiamo lanciato a Napoli va in questo senso. Nel Meridione ci sono molti talenti, c’è molta creatività libera da canalizzare. Il Sud anche per la sua conformazione e per il suo clima ha risorse importanti oggi non ancora sufficientemente esplorate. Il nostro centro di Napoli vuole far nascere la cultura dell’imprenditorialità e della creatività, e vuole mettere i talenti in condizione di esprimersi come ideatori e imprenditori. Vogliamo insegnare loro come si fa a implementare economicamente le idee. 

Le grandi realtà tecnologiche, come ad esempio la “Silicon Wadi” israeliana dove l’anno scorso sono nate 1.500 start up, sono possibili perché c’è qualcuno e qualcosa dietro che ha aiutato ad implementare le idee, c’è l’approccio sistematico di un Paese.

Io credo che un gruppo come Telecom Italia, che rappresenta il 3% del PIL del Paese, debba andare in questa direzione, perché le intelligenze vanno instradate verso la managerialità.

Le Università non insegnano a fare l’imprenditore, e questo non è corretto. Noi abbiamo un importante progetto, interno al nostro nuovo Centro Innovazione di Napoli, ma anche molti altri. Questo Centro insegnerà didatticamente a fare l’imprenditore, non l’impiegato.

 

Next: Come si coltiva l’innovazione e la creatività?

Granelli: E’ difficile dare una risposta univoca. Credo però che per prima cosa la composizione del team sia fondamentale. Sono fondamentali le persone senza stereotipi, eclettiche, che si sappiano mettere in discussione e abbiano un grande equilibrio interiore. Non credo molto nelle persone eccentriche e basta, o nelle “primedonne” completamente immerse nell’autocontemplazione.

Il secondo importante ingrediente è un’organizzazione capace di mettere in moto la struttura giusta per attrarre queste tipologie di persone, entusiaste del nuovo progetto.

Il terzo è creare un sistema di controllo degli obiettivi  che bilanci la creatività con gli obiettivi di tipo economico. E’ questa la situazione più complessa: volare in alto, ma con i piedi per terra, un ossimoro che racchiude, nel suo paradosso, l’essenza dell’innovazione.   Solo  quelle persone creative,  ma che hanno la capacità e l’umiltà di sapersi raccontare e farsi apprezzare anche all’esterno sono capaci di operare in questo modo. In azienda, non c’è  spazio per il genio incompreso, la “comprensione” deve far parte della stessa genialità.

Dovendo gestire un trade off, preferisco gestire persone robuste psicologicamente,  magari anche a scapito della creatività. Sono convinto che ogni individuo  possa essere sottratto alle briglie comportamentali al fine di liberarne la forza espressiva e creativa. Credo molto meno alla  “stravaganza”, l’equilibrio è sempre un elemento imprescindibile.

 

Next: L’impresa ha un’anima?

Granelli: Se la domanda è “l’azienda ha dimensioni ponderabili”, la risposta è “si”; se invece “la dimensione anima è qualcosa di coesivo e positivo”, la risposta è “non sempre”, nel senso che per esempio nei grandi gruppi è possibile che l’azienda abbia più anime. In termini psicologici significa avere a che fare con un’azienda schizofrenica, come hanno  scritto alcuni studiosi dell’INSEAD classificando le imprese in schizofreniche, paranoiche, visionarie, ... Probabilmente alcune realtà hanno anche un’anima nel senso che hanno una spiritualità e questa si ritrova solo nelle shared values, nella condivisione dei valori. È possibile costruire una matrice di valori in cui tutti i componenti si riconoscono perché la condividono. Costruire un’organizzazione del genere è estremamente complicato, ma quando ci si riesce, si può dire che l’azienda ha un’anima.

Next: Con l’immagine di Leonardo nella vostra campagna di comunicazione si è voluto dare un peso all’italianità?

Granelli: Sono fermamente convinto che l’Italia è un Paese straordinario, lo è stato nel passato, lo sarà nel futuro. Innanzitutto, è un paese di scienziati anche se questo non si ricorda mai, a favore invece della moda o del design. Il genio italico è antico: dall’antica Roma ai tempi moderni, a oggi. Solo nel Novecento l’Italia ha avuto ben nove Premi Nobel nell’area della Scienza e della Tecnologia, quindi la tradizione continua. E continua anche in un modo interessante se si pensa che solo a Torino nella Facoltà di Medicina nascono, a distanza ravvicinata, tre Premi Nobel: Luria, Dulbecco e Levi Montalcini. E’ chiaro che ci devono essere delle proprietà per così dire genetiche perché questo avvenga.

Ho riflettuto molto, proprio con il vostro Direttore Domenico De Masi, sul perché per esempio una località come Ravello abbia contribuito da sempre a essere il luogo che ha portato molti scrittori e artisti a concepire nuove idee. Io credo al genius loci.

Escher, ad esempio, che ha passato  molto tempo in costiera amalfitana; a Ravello, Amalfi, Atrani integra la sua poetica, nuova e creativa, al paesaggio che rappresenta. Si pensi a Metamorfosi: il paesaggio come elemento integrante ma irriconoscibile nel concepimento di una nuova poetica.

Siccome l’Italia da questo punto di vista ha dei luoghi unici al mondo, e visto che le nuove tecnologie possono riportare in Italia i protagonisti innovatori, i venture capitalist e altri ancora, proprio grazie alla bellezza dei suoi luoghi e alla possibilità di telelavorare, sono convinto che questo Paese avrà a breve un suo ri-fiorire.

Non ci sarà più fuga di talenti dall’Italia, ma attrazione di questi nel nostro Paese, così come accadeva nella Firenze dei Medici o nell’Università di Padova o nella stessa antica Roma.

Il problema è ricostruire le condizioni perché l’Italia riesca a ritornare a essere un polo di attrazione di personaggi eclettici e creativi da tutto il mondo, che vengano qui per il richiamo della sua storia fatta di scienziati e di designer.

 

Next Questa bella musica di Piazzolla che ha accompagnato la nostra intervista?

Granelli: Le note musicali accompagnano spesso la mia giornata, credo che stimoli la creatività e la riflessione. E’ stato dimostrato scientificamente che anche le mucche fanno più latte con la musica!

Sono padre di una bimba che in questo momento nutre una forte passione per la musica, in particolare per quella lirica. Ha da poco esaurito tutte le possibili domande sulla Tosca e si sta appassionando alla Carmen, soggetto, come si sa, molto differente dal primo: un po’ più svestito che va a piedi nudi etc. E lei, che ha quattro anni, e che ama stare a piedi nudi, dice “anche io quando vado a dormire sono a piedi nudi, allora vuol dire che quando andiamo a dormire siamo un po’ tutti come la Carmen?”. Adoro la creatività e amo vederla crescere.

 

Andrea Granelli è Amministratore Delegato di Telecom Italia Lab.